[In un articolo precedente avevo analizzato le analogie che legano Max und Moritz (1865) di Wilhelm Busch alle avventure di Till Eulenspiegel, eroe della tradizione comico-popolare tedesca a cavallo tra XV e XVI secolo. In questo articolo vorrei studiare la genesi di Max und Moritz sulla base di alcune opere di Busch che anticipano il motivo dei “bambini terribili” e che per certi aspetti si richiamano al modello di Der Struwwelpeter di Heinrich Hoffmann (1845).]
Negli anni immediatamente precedenti alla pubblicazione di Max und Moritz (1865), il motivo del “bambino terribile” prese forma nell’opera di Wilhelm Busch attraverso una serie di storielle illustrate (Bildergeschichten) contenute su fogli a stampa e riviste satiriche come Münchener Bilderbogen e Fliegende Blätter, per mezzo delle quali è possibile ricostruire la genesi delle figure immortalate nel suo capolavoro.
I primi “bambini terribili” furono una coppia di ladruncoli di miele apparsi in Die kleinen Honigdiebe (I ladruncoli di miele, 1859). Intrufolatisi nel giardino dei vicini, i fratelli cercano di sottrarre un alveare, salvo venire prontamente punti dalle api e ritrovarsi con le facce gonfie e doloranti. Grazie all’intervento dei genitori e del fabbro (che estrae i pungiglioni con un paio di pinze) e dopo qualche settimana di riposo, i bambini guariscono definitivamente e gli effetti delle punture svaniscono. La formula “delitto e castigo” risulta poi temperata ulteriormente dal lieto fine della storia, che vede i bambini ammettere la loro colpa e promettere che non ruberanno più, seduti a tavola sorridenti davanti ad un bel piatto fumante di gnocchi e alla presenza dei genitori, contenti di constatare che i loro figli hanno imparato la lezione.
Wilhelm Busch, Die kleinen Honigdiebe (1859)
In questa storia le figure dei ladruncoli ricalcano canoni piuttosto tradizionali, mutuati dalla letteratura pedagogica per l’infanzia sviluppatasi in Germania nei secoli XVIII e XIX con l’intento di istruire moralmente i bambini per dissuaderli dai vizi e dalle cattive abitudini. Memore di tale tradizione, la storia di Busch sanziona la golosità dei bambini – uno dei vizi rappresentati più di frequente e più comunemente associati all’infanzia – ed il loro tentativo di furto nella proprietà dei vicini mostrando che ad un’azione moralmente sbagliata consegue automaticamente il castigo, qui affidato significativamente all’istinto delle api (secondo un principio di giustizia naturale) e non all’opera di una figura autoritaria.
In altre circostanze, quando la giustizia naturale non sembra sufficiente a punire le malefatte del monello di turno, subentrano però gli espedienti della cosiddetta “pedagogia nera”. È il caso di Der kleine Pepi mit der neuen Hose (Il piccolo Pepi coi calzoni nuovi, 1860), in cui un bambino maldestro scorrazza nella campagna e nella proprietà dei vicini lacerando il nuovo paio di pantaloni regalatogli dal padrino, e dopo una serie di rocambolesche disavventure (tra cui un tuffo nello stagno e la caduta in un barile di sciroppo) è costretto a subire le percosse del padre.
Wilhelm Busch, Der kleine Pepi mit der neuen Hose (1860)
Un dato interessante della storia risiede nel fatto che diverse sue immagini richiamano immediatamente alla memoria alcune illustrazioni di Der Struwwelpeter (1845), segno di un’influenza dell’opera di Heinrich Hoffmann su quella di Busch: la vignetta che mostra il bambino sul bordo dello stagno è analoga a quella della Storia di Giannino Guard’in aria; la vignetta in cui i suoi pantaloni vengono tagliati da un enorme paio di forbici ricorda La storia del bambino che si succhia i pollici; la caduta del bambino nel barile di sciroppo, così come le sue conseguenze, sono confrontabili con La storia del Moretto, in cui San Nicola immerge tre ragazzini in un enorme calamaio ricolmo d’inchiostro trasformandoli in altrettanti “moretti”.
Lo stesso anno, un più accentuato impiego dell’umorismo nero caratteristico di Busch (nonché il primo esempio di punizione consumata in forma di vendetta con la morte del bambino) si riscontra nella storia Trauriges Resultat einer vernachläßigten Erziehung (Il triste risultato di un’educazione trascurata, 1860), dove versi simili a quelli di una filastrocca narrano una vicenda che non potrebbe immaginarsi maggiormente cruenta. Nella prima parte della storia un bambino che si diverte a molestare un sarto imitando i belati di un’ariete (cui rimanda il cognome del signore) viene da questi attirato nella sua casa, decapitato con un enorme paio di forbici (altra immagine ripresa da Der Struwwelpeter di Hoffmann) ed infine gettato in un fiume. Il seguito, altrettanto cruento, è scandito da un impressionante crescendo di eventi raccapriccianti, che vanno dal suicidio della madre del bambino, disperata per aver trovato il corpo del figlio all’interno del pesce che era sul punto di cucinare, a quello dello stesso assassino, che non potendo più scappare all’impiccagione si taglia la testa per mezzo del medesimo paio di forbici con cui ha consumato l’omicidio.
Wilhelm Busch, Trauriges Resultat einer vernachläßigten Erziehung (1860) |
Decisamente meno cruenta è la storia Das Rabennest (Il nido del corvo, 1861), che si segnala per essere la prima in cui Busch affianca ad ogni vignetta una breve didascalia in versi. La trama, che riprende un motivo tipico delle storie di impianto morale, riguarda due bambini che cercano di arrampicarsi su una scala per rubare dalla cima di un albero un nido occupato da una nidiata di uccellini, ma perdono l’equilibrio e finiscono in una pozza di fango. Imbrattati dalla testa alla vita, i due vengono estratti per i piedi dalla pozza grazie ad un cacciatore di passaggio, mentre la storia si conclude con la risata beffarda che gli uccellini nel nido rivolgono ai loro maldestri persecutori. Il tema della caduta e del conseguente imbrattamento, oltre che quello delle molestie dei bambini nei confronti degli animali, ritorneranno in Max und Moritz, ed erano del resto già presenti nello Struwwelpeter di Hoffmann.
Wilhelm Busch, Das Rabennest (1861)
Un discorso più articolato merita Diogenes und die bösen Buben von Korinth (Diogene e i monelli di Corinto, 1862), storia tra le più note ed influenti di Busch. In questo caso la vittima dei monelli di turno (due bambini con indosso la toga e sul capo un berretto frigio) è un personaggio storico, ovvero il filosofo greco Diogene il Cinico, noto per aver vissuto all’interno di una botte e praticato le virtù dell’autocontrollo e dell’autosufficienza. Mentre sta riposando nella sua botte, Diogene viene disturbato dai due monelli, che attraverso un buco nel legno gli spruzzano addosso dell’acqua con una siringa e poi lo fanno rotolare assieme alla sua bizzarra abitazione. Di colpo, però, i lembi delle toghe dei bambini si incastrano nella botte, e i due finiscono così travolti dal peso del recipiente e appiattiti a terra come schiacciatine.
I monelli di Corinto sono per molti versi i più accreditati precursori di Max e Moritz: oltre ad essere in coppia, essi non agiscono fondamentalmente sulla base di vizi quali la golosità né combinano danni per sventatezza o ingenuità, ma compiono ogni gesto con metodica perfidia in obbedienza a quello che si direbbe un vero e proprio istinto di monelleria fine a sé stessa concepita a danno del prossimo. Una peculiarità di questa storia consiste poi nella rappresentazione comica ed inverosimile della morte dei bambini, idonea a suscitare il riso proprio nella misura in cui sfida apertamente le leggi della fisica. La gag, qui probabilmente impiegata per la prima volta in assoluto, verrà adottata nel XX secolo in molti cartoni animati, con la differenza che in essi, nella stragrande maggioranza dei casi, l’appiattimento del malcapitato di turno è solo momentaneo e non mortale. Il motivo della botte verrà invece riproposto da altri artisti, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, in svariate vignette comiche e fumetti.
Wilhelm Busch, Diogenes und die bösen Buben von Korinth (1862)
Una breve storia a vignette che non venne pubblicata ed è stata ritrovata solo in anni recenti, Der Kuchenteig (L’impasto, 1863), rivela ulteriori analogie con Max und Moritz. Le vignette, disegnate a matita e prive di didascalia, mostrano un bambino che sale su una sedia per poter mangiare di nascosto il dolce appena impastato dalla mamma, salvo cadere nell’impasto e rimanervi invischiato. Se si esclude la conclusione della storia – che ricalca quella di Der kleine Pepi mit der neuen Hose (1860) – l’episodio verrà trasposto praticamente invariato nelle sue premesse in Max und Moritz, nella scena in cui i due monelli si intrufolano nella bottega di un panettiere, cadono da una sedia e finiscono impastati.
Wilhelm Busch: a sinistra Der Kuchenteig (1863), a destra una scena di Max und Moritz (1865).
Diversa, e questa volta letale, è la metamorfosi che si verifica in Der Eispeter (Piero dei ghiacci, parte della serie Bilderpossen, 1864), storia di un ragazzino ribelle che sordo agli ammonimenti dei genitori decide di andare a pattinare su un lago ghiacciato e dopo una caduta finisce egli stesso trasformato in un pezzo di ghiaccio: riportato a casa da due cacciatori, il suo corpo si liquefà rapidamente, e alla fine viene conservato allo stato liquido in una piccola urna alloggiata in cantina accanto a vasetti di formaggio e cetrioli (un ulteriore esempio di morte rappresentata in chiave comica ed inverosimile secondo l’umorismo nero caratteristico di Busch, come avverrà in Max und Moritz).
Wilhelm Busch, Der Eispeter (1864) |
Un’altra storia della serie Bilderpossen, Krischan mit der Piepe: Eine Rauchphantasie (Krischan con la pipa: una fantasticheria di fumo, 1864), mette in scena un ragazzino dell’alta borghesia, vestito in abiti eleganti, che disubbidisce al padre fumando la sua pipa non appena questi la lascia incustodita. Colto da mal di pancia e da forti vertigini, il bambino viene portato a letto mentre la madre gli prepara una bevanda calda ed il padre sorride indulgente della sua birichinata, porgendo la pipa al figlio e chiedendogli scherzosamente se vuole fumare ancora. Un simile ambiente borghese, e soprattutto il particolare della pipa, torneranno in Max und Moritz nell’episodio del maestro, quando i due monelli travasano nella sua pipa della polvere da sparo.
Wilhelm Busch, Krischan mit der Piepe: Eine Rauchphantasie (1864) |
Un’ultima anticipazione di quello che sarà lo spirito di Max und Moritz si ha con Der hinterlistige Heinrich (L’infido Heinrich, 1864), storia di un bambino che cerca di catturare delle oche usando come esca un pretzel datogli da sua madre. Non appena riesce ad afferrarne una, le altre oche gli si avventano contro e lo trascinano in volo per le orecchie fino a gettarlo nella canna fumaria della sua abitazione, attraverso la quale il bambino cade dentro una pentola di zuppa che sta bollendo sul fuoco. Il bambino viene tratto in salvo dalla madre, già cotto a puntino ma ancora in grado di reggersi in piedi, mentre le oche si spartiscono il suo pretzel ridendo beffardamente alle sue spalle.
La crudeltà nei confronti degli animali è un crimine associato all’immagine del “bambino cattivo” già in Der Struwwelpeter, dove una storia parla di un ragazzino che si diverte a far prigioniere le mosche e a strappar loro le ali, ad uccidere il proprio canarino, ad inseguire “come un matto” qualsiasi animale e a frustare il proprio cane. In questa storia di Busch, come in quella di Hoffmann, il colpevole di tale crimine è alla fine punito dallo stesso animale che ha perseguitato, per un processo di ribaltamento dei ruoli tra preda e predatore analogo al topos comico-popolare del “mondo alla rovescia”.
Wilhelm Busch, Der hinterlistige Heinrich (1864)
In Max und Moritz Busch riprenderà l’immagine del volo di un personaggio trainato dalle oche (questa volta si tratta di un sarto caduto in un fiume) e metterà di nuovo in scena una situazione analoga di adescamento di animali, la cui conclusione sarà però completamente dissimile (predisposta una trappola, i monelli riescono ad attirare alcuni polli e a provocare la loro morte per impiccagione). Il ribaltamento dei ruoli a vantaggio dell’animale e a svantaggio del suo persecutore costituirà però l’epilogo vero e proprio della storia, riassunto dall’immagine finale dei monelli ridotti in briciole e trasformati in mangime per le oche.
L’analisi di queste storie, qui allineate in una panoramica incentrata sulla figura del “bambino terribile”, permette di apprezzare la varietà di aspetti che concorsero alla genesi di Max und Moritz. L’opera, in particolare, sembra costituire il punto di arrivo ed il culmine di un processo di rielaborazione di un repertorio di motivi, situazioni ed immagini tratto principalmente da Der Struwwelpeter di Heinrich Hoffman, ma a sua volta legato alla precedente tradizione della letteratura morale rivolta all’infanzia. Il percorso artistico di Busch evidenzia un marcato (ma non completo) allontanamento dall’istanza educativa ed una predilezione sempre più accentuata per il registro comico-grottesco, in ossequio ad una vena creativa irriverente e spesso animata dai toni dell’umorismo nero. Il recupero di situazioni tipiche secondo un’ottica di questo genere è poi funzionale all’emergere della nuova figura del “bambino terribile”, il quale tende ad agire in modo ribelle e distruttivo non tanto in obbedienza ad un vizio o ad una debolezza di carattere, ma soprattutto in modo immotivato, per quella che si direbbe una pulsione antisociale finalizzata al puro divertimento a danno altrui.
Wilhelm Busch, Max und Moritz (1865) |