[L’articolo è stato pubblicato originariamente su Fumettologica il 29/11/2017.]
Un’idea abbastanza chiara di quanto vasta – e per molti aspetti ancora inesplorata – sia la storia reale riconducibile alle origini del fumetto statunitense può essere fornita dal fatto che uno degli autori più noti, prolifici e versatili dei suoi albori venga al più ricordato oggi en passant, ai margini del discorso principale o come una figura tutto sommato residuale. Se è vero che Walter Hugh McDougall (1858–1938, generalmente abbreviato in Walt McDougall) non è stato autore di serie altrettanto memorabili e storicamente rilevanti quanto quelle di alcuni suoi colleghi più giovani (il pensiero corre ovviamente ad artisti come Winsor McCay e Richard F. Outcault), non mancano certo – e sono anzi numerosi e degni di nota – i motivi per ricordarne l’opera e la poliedrica attività artistica a più di un secolo di distanza dalla sua fase più intensa.
McDougall è in primo luogo una figura interessante, e che anzi si potrebbe addirittura definire emblematica, per lo studio del panorama editoriale statunitense negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, quando la creazione delle prime strisce a fumetti sui supplementi domenicali dei più celebri quotidiani succedette all’espansione della satira politica illustrata e segnò l’emergere di una nuova generazione di talenti artistici e umoristici. Appena prima dell’avvento di quell’epoca, tradizionalmente fissato all’altezza degli ultimi cinque anni del XIX secolo, McDougall fu praticamente l’inventore del proprio ruolo di vignettista (cartoonist) regolarmente stipendiato per fornire illustrazioni divertenti da distribuire ai quotidiani (“a profession that he had practically invented in the 1890s”, ha scritto Allan Holtz).
Se i suoi disegni sulla rubrica umoristica settimanale tenuta da Bill Nye per l’American Press Association gli valsero nello specifico la nomea di primo syndicated newspaper artist, almeno un altro primato – ovvero la realizzazione della prima vignetta politica pubblicata sul New York World (il 10 agosto 1884) – aveva già contribuito a diffonderne la fama, ulteriormente rafforzata pochi mesi più tardi da un’illustrazione satirica talmente influente da essere poi riconosciuta non solo come uno dei principali fattori della sconfitta di James G. Blaine alle elezioni politiche di quell’anno, ma anche come un caposaldo imprescindibile nella storia della caricatura politica. Che l’efficacia satirica di McDougall fosse fuori dal comune è confermato anche da un aneddoto spesso associato alla sua biografia: si racconta che nel 1904, quando l’autore lavorava al Philadelphia North American, alcuni politici locali gli offrirono 1500 dollari per lasciare la città durante le elezioni presidenziali, e che negli stessi anni fu più volte arrestato con l’accusa di diffamazione ai danni del sindaco della città.
Altri primati per i quali McDougall è ricordato dagli storici del fumetto includono quello della prima striscia a colori comparsa su un quotidiano americano (The Unfortunate Fate of a Well-Intended Dog, realizzata assieme a Mark Fenderson e pubblicata sul New York World il 4 febbraio 1894) e quello della prima serie tratta da un’opera letteraria, niente meno che uno spin-off della saga di Oz creato in coppia con L. Frank Baum e ambientato negli Stati Uniti di inizio Novecento (Queer Visitors from the Marvelous Land of Oz, 1904–1905).
Più in generale, e al di là della sua collezione di primati davvero incredibile (in una dettagliata biografia che accompagna la pregiata edizione Sunday Press di Queer Visitors from the Marvelous Land of Oz (2009), Alfredo Castelli l’ha definito proprio per questo “the firsts man”, l’uomo delle prime volte), è poi possibile scorgere nella vita di McDougall uno spaccato suggestivo e quasi paradigmatico della carriera di un artista negli anni a cavallo tra i due secoli, peraltro trasmesso dallo stesso autore in un’autobiografia fittissima di riferimenti, dal padre John Alexander McDougall – pittore che contava amicizie illustri nella New York di metà ‘800 – a personalità come Joseph Pulitzer e Theodore Roosevelt, di cui Walt fu amico stretto (This is the Life!, 1926). A poco più di dieci anni dalla pubblicazione del libro, ormai ritiratosi a vita privata nella sua casa in Connecticut, McDougall si suicidò nel marzo del 1938 all’età di 80 anni: riportando la notizia, i necrologi apparsi sui quotidiani lo ricordarono come il “decano” dei fumettisti e uno dei più grandi della sua generazione di pionieri, menzionando anche alcune delle sue più celebri serie di strisce a fumetti.
Un articolo uscito in occasione della pubblicazione dell’autobiografia di McDougall [The Ogden Standard-Examiner, 22/8/1926]. |
Due tavole domenicali di McDougall, rispettivamente del 1902 e del 1903.
Ora, ripercorrendo la carriera di McDougall a grandi linee, dall’umorismo tipicamente slapstick di Fatty Felix and the Flipp Boys (1901–1905) e delle storie del Professor Jyblitts (1903) fino alle serie della maturità come le tavole domenicali di Hank the Hermit (1911–1916, conosciuta anche come Hank and his Animal Friends) e la striscia giornaliera Absent-Minded Abner (1915–1916), stupiscono più di ogni altra cosa l’incredibile prolificità dell’autore – abituato a proseguire in contemporanea diverse serie, talvolta arrivando a riempire da solo una buona metà dei supplementi domenicali su cui lavorava – e la versatilità della sua ispirazione umoristica, aperta alle suggestioni della vita quotidiana così come a quelle offerte dalla preistoria (un vero e proprio topos per i fumettisti dell’epoca) e dall’impiego di scenari fantastici o futuristici. Volendo poi isolare alcuni episodi significativi di questa carriera, oltre alla già citata serie realizzata con L. Frank Baum e legata al mondo di Oz, si potrebbero ricordare le avventure a fumetti di Peck’s Bad Boy (1906–1907), importanti dal punto di vista storico perché ispirate ai racconti e ai romanzi di George W. Peck, ovvero a uno dei primi scrittori statunitensi a inaugurare, negli anni ’80 del secolo precedente, il filone comico-letterario incentrato sulla figura del “bambino cattivo”.
Più accattivanti per il lettore odierno sono però altri lavori di McDougall accomunati da un gusto creativo visionario e bizzarro, dove assieme all’esercizio di una sfrenata fantasia risaltano a maggior ragione le notevoli doti tecniche dell’illustratore. Una decisa propensione per i territori del fantastico è già evidente in due romanzi che l’autore pubblicò poco più che trentenne, corredandoli con le sue illustrazioni: The Un-authorized History of Columbus (1890), che riscrive la scoperta dell’America facendo di Colombo una sorta di eroe comico, e soprattutto The Hidden City (1891), storia di un esploratore che si imbatte in un’antica civiltà di nativi americani venuti in contatto con gli ultimi atlantidei fuggiti dalla loro isola. Un terzo libro scritto e illustrato da McDougall, The Rambillicus Book (1903), è una collezione di racconti per bambini che presentano un’incredibile galleria di animali fantastici e inverosimili, a partire dall’enorme mammifero simile a un ippopotamo che dà il titolo alla raccolta ed è al tempo stesso un animale leggendario, un distributore di gelati e un parco giochi ambulante.
È singolare, ma non troppo sorprendente, che la riscoperta di McDougall in tempi recentissimi sia legata proprio a questo filone della sua produzione, e più precisamente alle numerose storie illustrate che compongono la serie Good Stories for Children (pubblicata su diversi quotidiani dal 1902 al 1905), “dissotterrate” dagli archivi digitali accessibili su Chronicling America e poi divulgate su Monster Brains e su vari altri siti. Sulla rete se ne contano quasi un centinaio, e anche se è probabile che il campione sia in buona parte incompleto una rapida scorsa alle illustrazioni è senz’altro sufficiente per saggiare la ricchezza surreale delle favole fantastiche di McDougall e l’irresistibile simpatia delle sue creature immaginarie, in attesa e nella speranza che qualche editore – come fece anni fa Sunday Press per Queer Visitors from the Marvelous Land of Oz – decida di valorizzarne ancora una volta la memoria.
Per chi nel frattempo volesse ammirare altre tavole dell’autore, la collezione digitalizzata del Billy Ireland Cartoon Library & Museum è il luogo migliore dove cominciare la ricerca.
Più accattivanti per il lettore odierno sono però altri lavori di McDougall accomunati da un gusto creativo visionario e bizzarro, dove assieme all’esercizio di una sfrenata fantasia risaltano a maggior ragione le notevoli doti tecniche dell’illustratore. Una decisa propensione per i territori del fantastico è già evidente in due romanzi che l’autore pubblicò poco più che trentenne, corredandoli con le sue illustrazioni: The Un-authorized History of Columbus (1890), che riscrive la scoperta dell’America facendo di Colombo una sorta di eroe comico, e soprattutto The Hidden City (1891), storia di un esploratore che si imbatte in un’antica civiltà di nativi americani venuti in contatto con gli ultimi atlantidei fuggiti dalla loro isola. Un terzo libro scritto e illustrato da McDougall, The Rambillicus Book (1903), è una collezione di racconti per bambini che presentano un’incredibile galleria di animali fantastici e inverosimili, a partire dall’enorme mammifero simile a un ippopotamo che dà il titolo alla raccolta ed è al tempo stesso un animale leggendario, un distributore di gelati e un parco giochi ambulante.
Due illustrazioni tratte da The Rambillicus Book (1903). |
È singolare, ma non troppo sorprendente, che la riscoperta di McDougall in tempi recentissimi sia legata proprio a questo filone della sua produzione, e più precisamente alle numerose storie illustrate che compongono la serie Good Stories for Children (pubblicata su diversi quotidiani dal 1902 al 1905), “dissotterrate” dagli archivi digitali accessibili su Chronicling America e poi divulgate su Monster Brains e su vari altri siti. Sulla rete se ne contano quasi un centinaio, e anche se è probabile che il campione sia in buona parte incompleto una rapida scorsa alle illustrazioni è senz’altro sufficiente per saggiare la ricchezza surreale delle favole fantastiche di McDougall e l’irresistibile simpatia delle sue creature immaginarie, in attesa e nella speranza che qualche editore – come fece anni fa Sunday Press per Queer Visitors from the Marvelous Land of Oz – decida di valorizzarne ancora una volta la memoria.
Per chi nel frattempo volesse ammirare altre tavole dell’autore, la collezione digitalizzata del Billy Ireland Cartoon Library & Museum è il luogo migliore dove cominciare la ricerca.
Tre illustrazioni tratte dalla serie Good Stories for Children (1902-1905). |