Lunghe catene di montaggio, assurdi macchinari e invenzioni bizzarre, complicate, impossibili, sono le varie figure di un medesimo immaginario industriale e tecnologico spesso impiegato in funzione comica nei cartoni della cosiddetta golden age del cinema di animazione americano (periodo che va dal 1926, con l’introduzione del sonoro sincronizzato, fino agli anni ‘60, con l’avvento della televisione).
Tra i precursori di questo immaginario, nei primi decenni del XX secolo, rientrano alcuni illustratori e fumettisti che nel concepire macchine estremamente complesse e improbabili adibite agli scopi più banali applicarono lo stesso principio comico fondato sulla sproporzione tra mezzo e fine. Nel 1900, lo statunitense
Frank Crane diede inizio alla serie di strisce a fumetti
Willie Westinghouse Edison Smith, incentrata sulle mirabolanti quanto disastrose invenzioni di un bambino prodigio. Il tema, sfruttato negli anni successivi da diversi altri fumettisti, tra cui
Walt McDougall (autore della serie
Professor Jyblitts), conobbe una particolare risonanza nell’opera di tre illustratori: l’americano
Rube Goldberg, l’inglese
William Heath Robinson e il danese
Robert Storm Petersen (conosciuto soprattutto col nome d’arte Storm P.).
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W. H. Robinson, Professor Branestawm (1933) |
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R. Storm Petersen, Opfindelser (1914) |
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Rube Goldberg (1913) |
Heath Robinson illustrò un gran numero di libri, tra cui
The Incredible Adventures of Professor Branestawm (1933) di Norman Hunter, il primo romanzo della fortunata serie del
Professor Branestawm, inventore geniale ed eccentrico che appartiene alla stessa famiglia “archetipica” di svariati personaggi del fumetto e dell’animazione. Rube Goldberg pubblicò innumerevoli vignette umoristiche e serie a fumetti su quotidiani statunitensi, ed inoltre scrisse un film diretto da Benjamin Stoloff,
Soup to Nuts (1930), che segnò il debutto del trio comico The Three Stooges e fornì all’artista l’occasione per trasferire sullo schermo la comicità delle sue folli invenzioni. Sia Robinson che Goldberg furono talmente celebri in patria che i rispettivi nomi divennero espressioni idiomatiche per indicare qualsiasi macchina assurda paragonabile alle loro invenzioni.
Sulla scia delle geniali invenzioni comiche di Rube Goldberg, anche nel cinema americano delle
slapstick comedies cominciarono a fare la loro comparsa macchine bizzarre di tutti i tipi. Il motivo ricorre in modo particolare nei film di
Charles Bowers (noto anche come Charley Bowers), regista e attore tra i più creativi nell’era del cinema muto: in
Egged On (1926), Charley costruisce una macchina che rende le uova indistruttibili; in
He Done His Best (1926), l’eccentrico inventore crea un macchinario ancora più complicato per cucinare e servire il cibo automaticamente; in
A Wild Roomer (1927), realizza una “God Machine” (Macchina divina) in grado prendersi cura del suo proprietario, di dare vita ai pupazzi e di svolgere molte altre funzioni.
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Egged On (1926) |
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A Wild Roomer (1927) |
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Nei primi decenni del secolo anche il cinema di animazione cominciò a rappresentare invenzioni tecnologiche improbabili e folli, sperimentando modalità narrative fondate sul colpo di scena e sulla confusione tra realtà e fantasia. In
The Cartoon Factory [1924, prod. Inkwell (Fleischer)], una macchina bizzarra disegnata dalla mano dell’artista permette al clown Koko di disegnare a suo piacimento il mondo di cui fa parte. In
Koko’s Earth Control [1928, prod. Inkwell (Fleischer)], lo stesso clown si ritrova in un’avveniristica sala di controllo del pianeta Terra, dove il suo cane, tirando una leva, finisce per provocarne la distruzione.
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The Cartoon Factory (1924) |
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Koko’s Earth Control (1928)
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Qualche anno più tardi i fratelli Fleischer realizzarono Betty Boop’s Crazy Inventions (1933, prod. Fleischer), cartone interamente consacrato al motivo delle invenzioni bizzarre, in cui vediamo un organo che produce musica sfruttando il fiato di tre maiali nascosti al suo interno, un elaborato macchinario che per smacchiare i vestiti ritaglia la parte di tessuto sporca, marchingegni altrettanto elaborati per spegnere le sigarette ed aprire le uova, una macchina da scrivere progettata per gustare le pannocchie, un improbabile registratore vocale alimentato da animaletti e una sorprendente macchina dotata di occhio e mano capace di cucire perfino un fiume. Simili invenzioni compaiono anche in The New Deal Show (1937, prod. Fleischer), dove Betty presenta un’esposizione di dispositivi meccanici concepiti per animali domestici. La stessa Betty Boop, in More Pep (1936, prod. Fleischer), per rinvigorire il cane stanco disegna letteralmente un’enorme centrifuga di alimenti che a causa dell’enorme quantità di energia accumulata si mette a saltellare in giro per la città.
Negli stessi anni i Fleischer diedero vita a Grampy, nonno di Betty Boop (benché i loro rapporti siano a volte equivoci) ed eccentrico inventore di macchine assurde, che consentì loro di mettere in scena ulteriori variazioni sul tema. La sua prima apparizione è in Betty Boop and Grampy (1935, prod. Fleischer), dove l’anziano personaggio invita Betty ad una festa a casa sua e le offre un saggio delle sue singolari invenzioni. In Be Human (1936, prod. Fleischer), lo vediamo vendicare i maltrattamenti subiti da alcuni animali catturando il contadino colpevole e rinchiudendolo in un sotterraneo, dove una strana macchina flagellatrice, sfruttando l’energia impiegata per colpirlo, è in grado di produrre al contempo nuovi alimenti per gli animali. In Service with a Smile (1937, prod. Fleischer), poi, Grampy è chiamato da Betty per risolvere alcuni problemi tecnici occorsi ai clienti del suo hotel con soluzioni ingegnose e tutt’altro che convenzionali.
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Betty Boop’s Crazy Inventions (1933)
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Be Human (1936) |
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Altre invenzioni e macchine strampalate compaiono nei corti animati dei vari studi di produzione, ora in storie interamente dedicate a tale immaginario, nel contesto di esposizioni universali futuristiche – come quella presentata da Scrappy in
The World’s Affair (1933, prod. Columbia), cartone realizzato per l’esposizione universale di Chicago (1933/34), oppure quella di
All’s Fair at the Fair (1938, prod. Fleischer), realizzato per l’esposizione di New York (1939) –, ora in scenari inconsueti – l’azienda agricola di Farmer Al Falfa in
The Health Farm (1936, prod. Terrytoons) –, ora come semplici apparizioni occasionali in brevi scenette comiche e/o stranianti –
Bimbo’s Initiation (1931, prod. Fleischer);
Buddy’s Adventures [1934, prod. Leon Schlesinger (Warner Bros)] –, ora in avventure sinistre e spaventose dove la tecnologia è al servizio di scienziati pazzi e privi di scrupoli –
The Mad Doctor (1933, prod. Walt Disney). Un curioso corto animato ispirato a quest’ultimo cartone,
The Great Experiment (1934, prod. Columbia), narra di uno scienziato pazzo che rapisce Scrappy e il suo fratellino, sottoponendoli a crudeli esperimenti e iniettando loro il siero dell’eterna giovinezza. I due fratelli si ritrovano catapultati nel 1990, dove in una città futuristica vedono strani velivoli e uomini che volano sorretti dalle eliche dei loro caschi. In questo cartone animato le due tendenze rappresentative – futuristica e spaventosa – si trovano mescolate in modo molto efficace, anche se l’effetto comico derivato dall’assurdità delle macchine risulta piuttosto impoverito. Altre macchine e invenzioni bizzarre compaiono in alcuni episodi della serie
Oswald the Lucky Rabbit prodotti dalla Universal negli anni ’30, come ad esempio il dispositivo in grado di cambiare la personalità della gente in
The Unpopular Mechanic (1936) o l’umanoide meccanico in
The Mechanical Handy Man (1937) – cartone scritto nientemeno che da Charles Bowers.
The World’s Affair (1933); The Great Experiment (1934); All’s Fair at the Fair (1938)
A partire dagli anni ’30 i cartoni animati sviluppano ulteriori motivi comici legati all’immaginario industriale e più congeniali alle modalità espressive del medium cinematografico. Nei corti prodotti dalla Walt Disney, in particolare, diventa ricorrente in quegli anni la raffigurazione di scene corali di operosità, dove il lavoro è organizzato secondo la logica industriale della catena di montaggio. L’operosità messa in scena può coinvolgere un gruppo di animali antropomorfizzati a stretto contatto con la natura [come i laboriosi castori di The Busy Beavers (1931, prod. Walt Disney)], oppure può essere mediata dal rapporto uomo-macchina [come nel caso degli elfi di Babbo Natale, che producono giocattoli grazie ad un vero e proprio macchinario industriale in Santa’s Workshop (1932, prod. Walt Disney)]. In una posizione intermedia si collocano i coniglietti di Funny Little Bunnies (1934, prod. Walt Disney), che confezionano uova pasquali circondati dalla natura e con l’aiuto di una tecnologia ancora artigianale. In ogni caso si tratta di scene gioiose, calate in un clima di festa, collaborazione ed abbondanza, nelle quali il lavoro, per nulla faticoso, diventa l’occasione per una ricreazione collettiva, giocosa e creativa.
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Santa’s Workshop (1932)
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Funny Little Bunnies (1934) |
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L’effetto comico di queste scene deriva da un processo di meccanizzazione del mondo naturale, animale e fantastico, ridotto ad una serie di automatismi che configurano una parodia del mondo umano industrializzato. La parodia riguarda inoltre lo stesso cinema di animazione, o meglio il microcosmo degli
studios all’interno dei quali i cartoni animati venivano realizzati, e dov’era parimenti applicata la logica della catena di montaggio. Questo fattore metanarrativo può forse rendere conto dell’elevata frequenza con cui in quegli anni il motivo è riproposto in molte varianti nei corti animati dei diversi studi di produzione. Una variante che ricorre spesso è quella della
nursery, un locale adibito alle cure dei bambini e strutturato come una catena di montaggio: in
Shuffle Off to Buffalo [1933, prod: Leon Schlesinger (Warner Bros)] si tratta di un’impresa di gnomi incaricata di consegnare alle rispettive famiglie i neonati per mezzo di cicogne; in
Five Puplets (1935, prod. Terrytoons) è un complesso di nastri trasportatori e carrucole che accudisce una cucciolata di cagnolini appena nati; in
The Merry Old Soul [1935, prod. Leon Schlesinger (Warner Bros)] è un impianto industriale situato all’interno del castello di Old King Cole, personaggio tratto dalle filastrocche popolari; in
On with the New (1938, prod. Fleischer) è un asilo nido tenuto da Betty Boop.
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On with the New (1938) |
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Pastrytown Wedding (1934) |
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Il motivo della catena di montaggio è poi associato spesso alla produzione di cibo, e in particolare all’industria dolciaria: le ciambelle in Doughnuts (1933, prod. Van Beuren); le uova di cioccolato nel già menzionato Funny Little Bunnies (1934, prod. Walt Disney); i dolci da pasticceria in Pastrytown Wedding (1934, prod. Van Beuren) e in Candyland (1935, prod. Universal). Più fiabesca è invece la variante che compare in The Sunshine Makers (1935, prod. Van Beuren), dove una catena di montaggio azionata da un gruppo di gnomi produce bottiglie contenenti raggi solari. Non mancano nemmeno varianti connotate in senso negativo, come il celebre cartone di propaganda antinazista Der Fuehrer’s Face (1943, prod. Walt Disney), dove Paperino si trova alle prese con un’inquietante catena di montaggio di armi.
Un altro motivo comico legato all’immaginario industriale e utilizzato a più riprese nei cartoni animati dell’epoca è la rappresentazione dell’essere animato (uomo o animale antropomorfo) in una condizione di soggezione nei confronti di una macchina che non può controllare. Questa condizione si può verificare in ogni caso in cui l’attività della macchina riguarda specificamente l’uomo, che la subisce passivamente, oppure quando la macchina per via di un guasto o di un inconveniente “impazzisce” e diventa incontrollabile. L’esempio classico di questo motivo è fornito da un film di Charlie Chaplin,
Modern Times (1936), che presenta entrambe le situazioni (una macchina che agisce sull’uomo, e in seguito la stessa macchina fuori controllo). In una scena del film vediamo Charlot, operaio in una fabbrica, chiamato a fare da cavia per testare una macchina progettata per nutrire i dipendenti nel minor tempo possibile: dopo essere stato immobilizzato nella posizione opportuna, Charlot viene imboccato dalla macchina come un neonato, e quando questa si guasta e comincia ad accelerare freneticamente egli risulta del tutto inerme in balia dei suoi meccanismi impazziti.
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Charlie Chaplin, Modern Times (1936) |
In alcuni cartoni il motivo dell’essere animato in balia della macchina era già presente in associazione a quello della catena di montaggio – come ad esempio in
Doughnuts (1933, prod. Van Beuren), dove un personaggio finisce intrappolato nel macchinario industriale e viene impastato assieme alle ciambelle – o al motivo delle macchine bizzarre [la bicicletta a percussione di
Bimbo’s Initiation (1931, prod. Fleischer)]. In altri cartoni animati di anni successivi, tuttavia, il motivo diviene più rilevante e significativo all’interno di gag comiche maggiormente strutturate. È il caso di
Three Little Wolves (1936, prod. Walt Disney), terzo corto della quadrilogia dei Tre Porcellini, dove per sbarazzarsi del Lupo il Porcellino saggio progetta il “Wolf Pacifier”, una complessa macchina multifunzionale che prende a pugni e calci il nemico prima di spararlo lontano dalla bocca di un cannone, oppure di
The Practical Pig (1939, prod. Walt Disney), ultimo corto della stessa quadrilogia, dove per smascherare gli inganni del Lupo il Porcellino saggio costruisce il “Lie Detector”, un sofisticato rivelatore di bugie che punisce i bugiardi con modalità tipiche dell’educazione “all’antica” – lavaggio della bocca col sapone e sculacciate con la spazzola. In entrambi i cartoni la macchina assume un rilievo marcato nell’economia della storia: da un lato essa viene presentata fin dall’inizio attraverso i progetti del Porcellino saggio, dall’altro segna l’epilogo risolutivo e catartico della vicenda. In
The Practical Pig, poi, l’espediente comico è ulteriormente accentuato dal fatto che tutti e quattro i personaggi principali cadono vittime della macchina (non solo il Lupo, ma anche i due Porcellini piccoli e soprattutto il Porcellino saggio, ovvero il suo inventore).
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Three Little Wolves (1936) |
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The Practical Pig (1939) |
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Altri corti prodotti dalla Disney che presentano il motivo dell’essere animato in balia della macchina sono Mickey’s Amateurs (1937), Modern Inventions (1937) e Donald’s Dog Laundry (1940). In Mickey’s Amateurs Pippo è al comando di una curiosa macchina-orchestra, ma nel bel mezzo dell’esibizione musicale da suonatore diventa “suonato”. In Modern Inventions Paperino, recatosi al Museum of Modern Marvels, finisce prima impacchettato come una confezione regalo da un apposito macchinario, poi vestito e accudito come un neonato in una culla che funziona da nursery automatica, infine intrappolato a testa in giù su una poltrona tuttofare, capace di lucidare le scarpe e di fare le veci di un barbiere. Lo stesso Paperino, in Donald’s Dog Laundry, dopo avere costruito un’energica macchina per fare il bagno a Pluto è spinto suo malgrado a collaudarla in prima persona.
Se queste ultime tre scene devono la loro efficacia e si giustificano quasi esclusivamente in relazione alla comicità dei personaggi protagonisti (il goffo Pippo e l’irascibile Paperino), in altri cartoni animati l’espediente comico è motivato anche da esigenze narrative e didascaliche. Come nei corti dei Tre Porcellini, le macchine possono svolgere una funzione punitiva nei confronti dell’essere animato, correggendo i suoi vizi ed assumendo in questo modo il ruolo di
deus ex machina all’interno della storia. In
Boy Meets Dog (1938, prod. Universal), un padre comprende di essere troppo severo con il figlio dopo essersi visto in sogno condannato alla reclusione forzata in un’inquietante “Youth Machine” che lo ringiovanisce fino a farlo ritornare in fasce. In
Wholly Smoke [1938, prod. Leon Schlesinger (Warner Bros)], Porky Pig promette di non fumare mai più a seguito di un incubo che lo vede in un grande negozio di tabacchi, costretto da strani macchinari a consumare sigarette e gomme al tabacco, mentre le parole di una canzoncina recitano “Little boys shouldn’t smoke”. Simili macchine “ingozzatrici”, che costringono il soggetto all’ingestione forzata di alimenti, possono inoltre fungere da ottimi deterrenti per la ghiottoneria. In
Pigs is Pigs [1937, prod. Leon Schlesinger (Warner Bros)], un porcellino goloso di nome Piggy sogna di trovarsi nel laboratorio di uno scienziato pazzo, immobilizzato su una poltrona al cospetto di una terribile macchina (“Feed-a-Matic”) che lo costringe a rimpinzarsi fino ad esplodere, e al risveglio, sconvolto, perde come d’incanto il suo vizio. Allo stesso modo è guarita la golosità del piccolo Andy Panda, ghiotto di mele in
Apple Andy (1946, prod. Universal) fino a che in sogno un diavoletto non lo obbliga ad abbuffarsi legandolo ad una macchina dispensatrice di mele, salsa di mela e sidro.
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Wholly Smoke (1938) |
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Pigs is Pigs (1937) |
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L’ennesima ripresa dei diversi espedienti comici legati alla rappresentazione dell’essere animato in balia della macchina si ha poi in Park Your Baby (1939, prod. Columbia), dove nel reparto nursery di un grande magazzino Scrappy si occupa di due bambinelli pestiferi che introduce in una macchina multifunzionale chiamata “Bad Boy Pacifier”: i due monelli ricevono prima le sculacciate di alcune braccia meccaniche, poi l’opportuna lavata di bocca col sapone, infine sono costretti ad ingerire delle vitamine che li trasformano in tranquilli angioletti. Un caso ancora più notevole è fornito da
Baby Bottleneck (1946, prod. Warner Bros), in cui il motivo dell’essere animato in balia della macchina fuori controllo si trova congiunto al motivo della catena di montaggio. Ad essere rappresentata, in questo caso, è un’enorme fabbrica addetta alla spedizione di cuccioli delle più varie specie animali ai rispettivi genitori. A causa di un guasto, Porky Pig e Daffy Duck – il proprietario della fabbrica e il suo assistente – finiscono intrappolati sul rullo della catena di montaggio, preparati per la spedizione ed infine inviati alla presunta madre in una scena frenetica ed esilarante.
Il motivo della catena di montaggio ricorre anche in Swooner Crooner [1944, prod. Leon Schlesinger (Warner Bros)], dove Porky Pig è a capo di una grande fabbrica di uova prodotte all’ingrosso dalle galline secondo modalità tipicamente industriali. Altri corti animati degli anni ’40 recuperano inoltre il motivo delle macchine bizzarre e futuristiche: Shop Look & Listen [1940, prod. Leon Schlesinger (Warner Bros)], nel contesto di un grande magazzino dove sono esposte macchine che giocano a carte e impacchettano regali; Post War Inventions (1945, prod. Terrytoons), in un’onirica fantasia dall’epilogo distopico; The House of Tomorrow (1949, prod. Metro-Goldwyn-Mayer), raffigurazione iperbolica e ironica del progresso tecnologico dell’immediato futuro e della sua pervasività nella vita domestica. Quest’ultimo corto è il primo di una serie di quattro cartoni – tutti diretti da Tex Avery – che condividono l’analoga ispirazione futuristica, seguito da Car of Tomorrow (1951), T.V. of Tomorrow (1953) e The Farm of Tomorrow (1954).
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Baby Bottleneck (1946) |
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Shop Look & Listen (1940) |
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Questa rassegna di titoli rende evidente quanto il cinema di animazione abbia saputo rielaborare nel corso degli anni il motivo comico delle macchine e delle invenzioni bizzarre, a partire dall’influenza del fumetto americano delle origini e del cinema delle slapstick comedies, giungendo a definire una serie di motivi caratteristici e ricorrenti congeniali al suo medium e all’immaginario dei cartoni animati. L’ispirazione data dalle figure del mondo industrializzato e tecnologico, in particolare, si articola nel cinema di animazione in una molteplicità di contesti tipici: il microcosmo della piccola fabbrica a conduzione familiare o della grande industria, organizzato secondo la logica della catena di montaggio, gli scenari pubblici delle esposizioni universali e dei department stores, ma anche le botteghe private ed i laboratori segreti di geniali ed eccentrici inventori, oltre agli ambienti protetti e graziosi delle nurseries.
Nella stragrande maggioranza dei casi l’immaginario industriale è rivisitato in chiave comica, anche se alcune eccezioni rendono conto di ulteriori possibilità espressive legate ai registri dell’incubo e dello straniamento. La comicità può derivare dalla natura stessa dell’invenzione (ora si tratta di macchine molto complesse, altre volte curiosamente antiquate, oppure composte da tratti semi-umani, come ad esempio braccia meccaniche), dalla sua funzione bizzarra o assurda (spesso futile rispetto al dispiego di energie impiegato, oppure disgiunta da un processo produttivo e adibita alle più elementari attività umane – accudimento, nutrizione, punizione di un essere animato), dalle modalità del suo funzionamento (il più delle volte connotato da un’eccessiva energia e violenza) e soprattutto dal rapporto che essa instaura con l’essere animato, nei casi in cui quest’ultimo finisce in balia di un meccanismo fuori controllo.
Ci si può infine interrogare sulla possibilità di scorgere in queste scene una velata intenzione satirica nei confronti del progresso tecnologico, dei suoi inconvenienti e dei relativi rischi. Se per un film come Modern Times questa lettura risulta senz’altro appropriata in considerazione dell’intero disegno dell’opera, meno scontata ma comunque plausibile appare la sua estensione alle singole scene comiche del cinema di animazione. Posto a confronto con la realtà storica, il mondo dei cartoni animati della golden age sembra riprodurne le contraddizioni in una veste caricaturale, obbedendo in primo luogo a finalità di intrattenimento ed evasione, ma lasciando intuire dietro la maschera della comicità i segni di una tensione da cui forse – più di ogni altra cosa – deriva l’esigenza del riso.
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Fotobusta pubblicitaria di Pigs is Pigs (1937). |
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Disegno di prova per The Practical Pig (1939). |
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Disegno per Donald’s Dog Laundry (1940). |