[In occasione dell’anniversario della nascita di Wilhelm Busch, nato il 15 aprile 1832, e nel centocinquantenario della pubblicazione di Max und Moritz (1865), proponiamo un articolo dedicato al geniale artista tedesco e alla sua opera più celebre.]
Si è soliti ricordare Wilhelm Busch, in virtù delle sue irriverenti storielle in versi illustrate (Bildergeschichten) e nell’ambito di quella corrente che è stata definita “protofumetto”, come uno dei più illustri precursori del genere del fumetto. Il carattere innovativo e sperimentale delle sue opere, d’altra parte, non deve indurre a trascurare il loro legame con una tradizione anteriore, la cui ascendenza è da rintracciarsi soprattutto nella letteratura tedesca di matrice comico-popolare sviluppatasi tra la fine del XV ed il XVI secolo.
L’opera più rappresentativa di questa tradizione tedesca – riconducibile del resto ad un più ampio orizzonte europeo che include tra gli altri il Morgante di Pulci, il Gargantua di Rabelais ed il Bertoldo di Croce – è la storia di Till Eulenspiegel, briccone girovago amante degli scherzi e del cattivo gusto che apparve per la prima volta (a giudicare dai testi tramandatici) in un libro stampato nel 1510 e attribuito in anni recenti ad Hermann Bote. Wilhelm Busch nacque in Bassa Sassonia proprio come Till Eulenspiegel (che secondo una leggenda sarebbe vissuto realmente nel XIV secolo), e la sua opera conferma a più livelli quanto egli abbia assorbito e rielaborato l’influenza di una tradizione popolare specificamente legata alla sua terra di origine, che nel XIX secolo conobbe una nuova fortuna all’interno di fogli a stampa e riviste satiriche rivolte ad un pubblico eterogeneo (come Fliegende Blätter e Münchener Bilderbogen).
L’opera più rappresentativa di questa tradizione tedesca – riconducibile del resto ad un più ampio orizzonte europeo che include tra gli altri il Morgante di Pulci, il Gargantua di Rabelais ed il Bertoldo di Croce – è la storia di Till Eulenspiegel, briccone girovago amante degli scherzi e del cattivo gusto che apparve per la prima volta (a giudicare dai testi tramandatici) in un libro stampato nel 1510 e attribuito in anni recenti ad Hermann Bote. Wilhelm Busch nacque in Bassa Sassonia proprio come Till Eulenspiegel (che secondo una leggenda sarebbe vissuto realmente nel XIV secolo), e la sua opera conferma a più livelli quanto egli abbia assorbito e rielaborato l’influenza di una tradizione popolare specificamente legata alla sua terra di origine, che nel XIX secolo conobbe una nuova fortuna all’interno di fogli a stampa e riviste satiriche rivolte ad un pubblico eterogeneo (come Fliegende Blätter e Münchener Bilderbogen).
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Il ricorso ad una struttura sequenziale di storielle in versi accompagnate da illustrazioni, tipico di Wilhelm Busch e delle Bildergeschichten, è confrontabile con l’analogo procedimento con cui le avventure di Till Eulenspiegel sono state presentate a partire dalla prima edizione a stampa conosciuta (Ein kurtzweilig Lesen von Dil Ulenspiegel, 1510), ovvero attraverso brevi narrazioni in prosa accompagnate da xilografie. Lo stesso carattere comico-grottesco delle storie di Till Eulenspiegel, concepite perlopiù come scherzi, truffe e burle condite da un non infrequente gusto slapstick, si riscontra nella gran parte delle opere di Busch, ed in modo particolare in quelle che adottano come protagonisti dei personaggi infantili irresistibilmente votati alla monelleria. I “bambini terribili” di Busch presentano in effetti notevoli punti di contatto con la tipologia caratteriale del personaggio Till Eulenspiegel, e non solo in considerazione del suo passato da bambino monello (come testimoniano alcune delle storie iniziali del relativo Volksbuch): antisociali per vocazione, hanno come unica ragione di vita il riso beffardo rivolto ad irridere l’ordine costituito, e come destino naturale una fine altrettanto beffarda.
Le analogie tra Till Eulenspiegel e l’opera di Wilhelm Busch si riflettono in modo ancora più significativo nel suo capolavoro, vale a dire Max und Moritz (1865), celeberrima storia dei due monelli articolata in sette scherzi e conclusa da un tragico epilogo. Il riferimento più evidente è costituito senz’altro dalla ripresa di un motivo presente nella storia di Till Eulenspiegel e riproposto pressoché invariato da Busch nel primo scherzo di Max e Moritz, quando i due monelli legano ad alcuni fili intrecciati dei bocconcini di pane con cui attirano in trappola quattro polli che finiscono così per strozzarsi. Il medesimo trucco è adoperato da Till Eulenspiegel ai danni di un contadino avaro nell’ottava storia della raccolta, che termina con questo passo: «Eulenspiegel aveva un 20 fili o più, e li aveva legati a due a due nel mezzo, e a ogni estremità del filo aveva legato un boccone di pane. Così dunque i polli vennero a beccare qua e là e ingoiarono i bocconi di pane con il capo del filo nel gozzo, e non potevano ingoiarli perché all’altro capo del filo tirava un altro pollo, così che l’uno tirava l’altro a sé. E non potevano né ingoiare né liberarsi il gozzo per la grandezza dei bocconi di pane; e così più di duecento polli stavano a tirare l’esca e a strozzarsi a vicenda».
Un altro motivo comico presente in Till Eulenspiegel e riproposto da Busch in Max und Moritz è riscontrabile nel terzo scherzo, architettato dai monelli ai danni di un sarto: dopo aver segato via un’asse del ponticello che attraversa il fiume vicino alla sua casa, i due richiamano la sua attenzione finché l’uomo, intento ad inseguirli, non cade rovinosamente nell’acqua. Till Eulenspiegel mette in pratica il medesimo scherzo per burlare i guardiani della città, come narra la XXXII storia della raccolta: «[…] Allora egli staccò dallo stesso ponticello tre asticelle e le buttò nel fiume chiamato Pegnitz. E andò davanti al municipio e cominciò a imprecare […]. Non appena udirono ciò, i guardiani furono subito in piedi e lo inseguirono. […] Eulenspiegel corse davanti davanti ai guardiani […]. E quando fu giunto dall’altra parte, gridò ad alta voce: “Ohè, dove state avviliti furfanti?”. Non appena udirono ciò, i guardiani in fretta e non presagendo nulla corsero verso di lui, e ognuno voleva essere il primo. Così cadde l’uno dopo l’altro nella Pegnitz. […] Così il primo si ruppe una gamba, il secondo un braccio, il terzo si fece un buco in testa, tasche nessuno se la cavò senza danno».
Un ulteriore motivo comico presente in Max und Moritz e confrontabile con alcune storie di Till Eulenspiegel è quello dell’arrosto rubato: nel loro terzo scherzo i monelli sottraggono dalla padella di una vedova gli stessi polli che hanno preso in trappola; in ben tre storie diverse Till Eulenspiegel è protagonista di un analogo furto, ai danni prima di un pievano (XI storia) e poi per ben due volte dello stesso macellaio (LX e LXI storia). Il tema del cibo, del resto, percorre l’intera storia di Max e Moritz come quella di Till Eulenspiegel, sia nelle sue occorrenze dirette (furto, ingestione e abbuffate di cibo), sia in alcune scene che rimandano simbolicamente ad esso (ingestioni metaforiche che vedono i/il protagonisti/a contenuti/o in un recipiente o introdotti/o in un ambiente angusto). Per Max e Moritz simili ingestioni simboliche avvengono ad esempio nella canna fumaria della panetteria, nelle forme di pasta, nel forno, nel sacco e poi nella macina, secondo una progressione crescente che li vede infine ridotti in briciole, rigettati dalla bocca di una maschera grottesca e piluccati da alcune oche; in Till Eulenspiegel analoghe situazioni si presentano quando egli si introduce in un’arnia (IX storia), quando si infila nel ventre del suo cavallo (XXV), quando dorme nelle pellicce (LIII), quando cuce un gatto vivo dentro in una pelle di lepre e lo vende in un sacco come lepre viva (LV), oltre al momento della sua sepoltura (XCV).
Il tema del cibo individua inoltre soltanto uno dei poli caratteristici della comicità popolare legata al basso materiale e corporeo, come osservò Michail Bachtin ne L’opera di Rabelais e la cultura popolare (1965): in opposizione alle immagini relative alla bocca e all’ingestione troviamo infatti immagini incentrate sull’ano, sulla defecazione e per analogia simbolica sul motivo del rovesciamento. Tali tipologie di immagini oscene e scatologiche sono frequenti ed esplicite in Till Eulenspiegel, al punto da individuare un aspetto fondamentale dell’opera, mentre nelle storie di Busch si presentano in forme decisamente più indirette. In Max und Moritz l’unica immagine esplicitamente riferita al motivo scatologico si riscontra al termine del primo scherzo, quando i polli finiscono impiccati ad un albero e concludono la loro esistenza con un’espulsione che per il gallo è diversa da quella delle galline. L’intera opera di Busch, in ogni caso, presenta in modo più indiretto diverse allusioni a motivi scatologici, come non è difficile riscontrare in determinate scelte stilistiche (le molte inquadrature di personaggi o animali rappresentati da dietro o capovolti a testa in giù) o rappresentative (la stanza da bagno come scenario privilegiato di alcuni episodi, o il vaso da notte come elemento messo in rilievo dalla trama).
A partire da questi spunti essenziali, e del resto passibili di ulteriori analisi, è facile riconoscere in Wilhelm Busch non solo un grande innovatore precursore del fumetto, ma anche un abile artista in grado di riproporre in età moderna lo spirito di una tradizione comica popolare risalente alla fine del medioevo. Il ruolo di “mediatore” operato da Busch tra tale tradizione antica e quella moderna del fumetto (che nascerà ufficialmente nel 1895) è testimoniato in modo particolare dalla sua influenza sulla genesi di una delle strisce a fumetti più celebri delle origini, The Katzenjammer Kids (1897), ma si riscontra anche in altri fumetti nella ripresa di motivi di memoria eulenspiegeliana, probabilmente noti all’epoca a partire dagli scherzi di Max e Moritz.
Bibliografia
[H. Bote,] Till Eulenspiegel, a cura di L. Tacconelli, Roma, Salerno, 1979 [prima ed. in lingua originale: 1510].
W. Busch, Max e Moritz, ovvero Pippo e Peppo. Storiella malandrina in sette baie nella versione di Giorgio Caproni, introd. di C. Magris, Milano, Rizzoli, 1974 [prima ed. in lingua originale: 1865].
M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, trad. italiana di Mili Romano, Torino, Einaudi, 1979 [prima ed. in lingua originale: 1965].
D. Rollfinke - J. Rollfinke, Wilhelm Busch: Dumping the Chambers Pot on Human Vanity, in The Call of Nature. The Role of Scatology in Modern German Literature, Amherst, University of Massachusetts Press, 1986.
Le analogie tra Till Eulenspiegel e l’opera di Wilhelm Busch si riflettono in modo ancora più significativo nel suo capolavoro, vale a dire Max und Moritz (1865), celeberrima storia dei due monelli articolata in sette scherzi e conclusa da un tragico epilogo. Il riferimento più evidente è costituito senz’altro dalla ripresa di un motivo presente nella storia di Till Eulenspiegel e riproposto pressoché invariato da Busch nel primo scherzo di Max e Moritz, quando i due monelli legano ad alcuni fili intrecciati dei bocconcini di pane con cui attirano in trappola quattro polli che finiscono così per strozzarsi. Il medesimo trucco è adoperato da Till Eulenspiegel ai danni di un contadino avaro nell’ottava storia della raccolta, che termina con questo passo: «Eulenspiegel aveva un 20 fili o più, e li aveva legati a due a due nel mezzo, e a ogni estremità del filo aveva legato un boccone di pane. Così dunque i polli vennero a beccare qua e là e ingoiarono i bocconi di pane con il capo del filo nel gozzo, e non potevano ingoiarli perché all’altro capo del filo tirava un altro pollo, così che l’uno tirava l’altro a sé. E non potevano né ingoiare né liberarsi il gozzo per la grandezza dei bocconi di pane; e così più di duecento polli stavano a tirare l’esca e a strozzarsi a vicenda».
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Un altro motivo comico presente in Till Eulenspiegel e riproposto da Busch in Max und Moritz è riscontrabile nel terzo scherzo, architettato dai monelli ai danni di un sarto: dopo aver segato via un’asse del ponticello che attraversa il fiume vicino alla sua casa, i due richiamano la sua attenzione finché l’uomo, intento ad inseguirli, non cade rovinosamente nell’acqua. Till Eulenspiegel mette in pratica il medesimo scherzo per burlare i guardiani della città, come narra la XXXII storia della raccolta: «[…] Allora egli staccò dallo stesso ponticello tre asticelle e le buttò nel fiume chiamato Pegnitz. E andò davanti al municipio e cominciò a imprecare […]. Non appena udirono ciò, i guardiani furono subito in piedi e lo inseguirono. […] Eulenspiegel corse davanti davanti ai guardiani […]. E quando fu giunto dall’altra parte, gridò ad alta voce: “Ohè, dove state avviliti furfanti?”. Non appena udirono ciò, i guardiani in fretta e non presagendo nulla corsero verso di lui, e ognuno voleva essere il primo. Così cadde l’uno dopo l’altro nella Pegnitz. […] Così il primo si ruppe una gamba, il secondo un braccio, il terzo si fece un buco in testa, tasche nessuno se la cavò senza danno».
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Un ulteriore motivo comico presente in Max und Moritz e confrontabile con alcune storie di Till Eulenspiegel è quello dell’arrosto rubato: nel loro terzo scherzo i monelli sottraggono dalla padella di una vedova gli stessi polli che hanno preso in trappola; in ben tre storie diverse Till Eulenspiegel è protagonista di un analogo furto, ai danni prima di un pievano (XI storia) e poi per ben due volte dello stesso macellaio (LX e LXI storia). Il tema del cibo, del resto, percorre l’intera storia di Max e Moritz come quella di Till Eulenspiegel, sia nelle sue occorrenze dirette (furto, ingestione e abbuffate di cibo), sia in alcune scene che rimandano simbolicamente ad esso (ingestioni metaforiche che vedono i/il protagonisti/a contenuti/o in un recipiente o introdotti/o in un ambiente angusto). Per Max e Moritz simili ingestioni simboliche avvengono ad esempio nella canna fumaria della panetteria, nelle forme di pasta, nel forno, nel sacco e poi nella macina, secondo una progressione crescente che li vede infine ridotti in briciole, rigettati dalla bocca di una maschera grottesca e piluccati da alcune oche; in Till Eulenspiegel analoghe situazioni si presentano quando egli si introduce in un’arnia (IX storia), quando si infila nel ventre del suo cavallo (XXV), quando dorme nelle pellicce (LIII), quando cuce un gatto vivo dentro in una pelle di lepre e lo vende in un sacco come lepre viva (LV), oltre al momento della sua sepoltura (XCV).
Il tema del cibo individua inoltre soltanto uno dei poli caratteristici della comicità popolare legata al basso materiale e corporeo, come osservò Michail Bachtin ne L’opera di Rabelais e la cultura popolare (1965): in opposizione alle immagini relative alla bocca e all’ingestione troviamo infatti immagini incentrate sull’ano, sulla defecazione e per analogia simbolica sul motivo del rovesciamento. Tali tipologie di immagini oscene e scatologiche sono frequenti ed esplicite in Till Eulenspiegel, al punto da individuare un aspetto fondamentale dell’opera, mentre nelle storie di Busch si presentano in forme decisamente più indirette. In Max und Moritz l’unica immagine esplicitamente riferita al motivo scatologico si riscontra al termine del primo scherzo, quando i polli finiscono impiccati ad un albero e concludono la loro esistenza con un’espulsione che per il gallo è diversa da quella delle galline. L’intera opera di Busch, in ogni caso, presenta in modo più indiretto diverse allusioni a motivi scatologici, come non è difficile riscontrare in determinate scelte stilistiche (le molte inquadrature di personaggi o animali rappresentati da dietro o capovolti a testa in giù) o rappresentative (la stanza da bagno come scenario privilegiato di alcuni episodi, o il vaso da notte come elemento messo in rilievo dalla trama).
A partire da questi spunti essenziali, e del resto passibili di ulteriori analisi, è facile riconoscere in Wilhelm Busch non solo un grande innovatore precursore del fumetto, ma anche un abile artista in grado di riproporre in età moderna lo spirito di una tradizione comica popolare risalente alla fine del medioevo. Il ruolo di “mediatore” operato da Busch tra tale tradizione antica e quella moderna del fumetto (che nascerà ufficialmente nel 1895) è testimoniato in modo particolare dalla sua influenza sulla genesi di una delle strisce a fumetti più celebri delle origini, The Katzenjammer Kids (1897), ma si riscontra anche in altri fumetti nella ripresa di motivi di memoria eulenspiegeliana, probabilmente noti all’epoca a partire dagli scherzi di Max e Moritz.
Victor Schramm, Karl and Fritz (Chicago Tribune, 10/6/1906). Un caso emblematico di “stratificazione” delle influenze: immediata quella dei Katzenjammer Kids di Rudolph Dirks e del Buster Brown di Richard F. Outcault; più lontana quella di Max und Moritz di Wilhelm Busch; molto distante, e forse inconsapevole, quella di Till Eulenspiegel. |
Bibliografia
[H. Bote,] Till Eulenspiegel, a cura di L. Tacconelli, Roma, Salerno, 1979 [prima ed. in lingua originale: 1510].
W. Busch, Max e Moritz, ovvero Pippo e Peppo. Storiella malandrina in sette baie nella versione di Giorgio Caproni, introd. di C. Magris, Milano, Rizzoli, 1974 [prima ed. in lingua originale: 1865].
M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, trad. italiana di Mili Romano, Torino, Einaudi, 1979 [prima ed. in lingua originale: 1965].
D. Rollfinke - J. Rollfinke, Wilhelm Busch: Dumping the Chambers Pot on Human Vanity, in The Call of Nature. The Role of Scatology in Modern German Literature, Amherst, University of Massachusetts Press, 1986.