30/11/17

Pinocchio alla rovescia. «Occhiopin» di Fabian Negrin


[Di seguito un estratto dal saggio Il ritorno di Pinocchio. Nuovi sviluppi di una mitopoiesi nella letteratura italiana per l’infanzia, che ho scritto assieme a Lorenzo Innocenti prendendo in esame tre rivisitazioni contemporanee della storia di Collodi (Occhiopin di Fabian Negrin, Il ritorno di Pinocchio di Silvano Agosti e Pinocchio prima di Pinocchio di Alessandro Sanna). Il saggio è stato pubblicato sulla rivista «Italica Wratislaviensia», 8 (2), 2017, pp. 123-139, ed è scaricabile per intero qui.]

Nel 2006 la casa editrice romana Orecchio Acerbo dava alle stampe Occhiopin. Nel paese dei bei occhi, picture book di Fabian Negrin concepito fin dal titolo come una rivisitazione alla rovescia della storia di Pinocchio. L’operazione, già in parte tentata con In bocca al lupo (2003), rispondeva alla duplice volontà di proporre un punto di vista attualizzante sulla figura di Pinocchio, e soprattutto, attraverso la sua storia, una serie di riflessioni sul mondo contemporaneo.

«Come milioni di altri bambini, Pinocchio oggi abita nell’hinterland di una grande città», spiega la quarta di copertina. Questo Pinocchio del XXI secolo, chiamato Occhiopin, non è più il consueto burattino noto ai lettori, ma un bambino in carne e ossa che vive a Villette Barbecue, un paese come «se ne possono vedere a centinaia» e forse, suggerisce la voce narrante, «nemmeno un vero e proprio luogo». A caratterizzare il non-luogo, oltre al fatto che il tempo vi scorre all’indietro, è un clima di ipocrisia e conformismo riassunto nelle uniche due ambizioni condivise dai suoi abitanti («Vivere in famiglia fingendo di essere felice» e «Sforzarsi di essere in tutto e per tutto uguali agli altri») e dallo stesso stile di vita del padre di Occhiopin, un “Geppetto” mai nominato per nome e sempre ritratto in giacca e cravatta, proprietario di una villetta con cantina adibita a falegnameria e fiero detentore di un’automobile intesa come status symbol.

L’estraneità di Occhiopin rispetto al sistema di valori tipico del luogo si manifesta dapprima in «una certa intensità dello sguardo», quindi dalla «voglia di nuove esperienze» e dalla tendenza a rimettere in discussione «il perché di ogni cosa», infine dal desiderio di distinguersi dagli altri, che lo spinge a truccarsi gli occhi di rosa. Il gesto gli costa gli sberleffi dei compaesani e la prima punizione ad opera della Fata Turchina, qui deputata a severa custode dell’ordine conformistico: la trasformazione «in un mostruoso burattino di legno». Disperato, Occhiopin comincia a prendere a calci e pugni tutto ciò che lo circonda, picchia il padre fino a fargli perdere i sensi e lo porta con sé al largo nel mare, dove deposita il suo corpo fra le mascelle di una balena e prova per la prima volta un senso di libertà. Di ritorno sulla spiaggia lo attende però una nuova punizione, e Occhiopin si ritrova trasformato in un asino.


A partire da queste peripezie iniziali le avventure di Occhiopin si configurano come un viaggio di evasione dall’ordine costituito, di scoperta del mondo nella sua varietà e di ricerca della propria identità. L’apice di questa parabola di fuga si realizza nel Paese dei Bei Occhi, un luogo speciale dove, insieme a un altro asino incontrato sulla spiaggia (novello Lucignolo), Occhiopin impara «a usare gli occhi in modo nuovo» per cogliere la bellezza delle cose. Ridivenuto un burattino, Occhiopin si mette in cammino per esplorare il mondo, ma ancora una volta si imbatte nella Fata Turchina. Questa, dopo avergli inserito un Grillo Parlante nella testa, lo appende a un albero, e in seguito, quando il gatto e la volpe lo aiutano a liberarsi, gli tende una nuova trappola: «Non appena Occhiopin diceva qualcosa in cui credeva veramente ZAC! il suo naso si rimpiccioliva».

Il termine della fuga del burattino è sancito da un simbolico ritorno a casa. Qui Occhiopin ritrova il padre apparentemente ringiovanito e seduto davanti alla tv, «come se non fosse mai morto». A causa del volto sfigurato, dove al posto del naso è comparso un buco, il burattino viene invitato dal padre a saltare le lezioni di scuola per aiutarlo nei lavori domestici. Sceso in cantina, il padre urla a Occhiopin che ha intenzione di fabbricare un caminetto in previsione dell’inverno, e poco dopo, risalendo con un’accetta in mano, «Penso che avrò proprio bisogno di legna – disse guardandolo. – Mi dispiace, figliolo».

Una nuova svolta nel racconto, sottolineata anche a livello grafico dall’adozione del colore nero come sfondo della pagina, proietta a questo punto la storia su un diverso orizzonte temporale, attuando il passaggio da un tempo passato perlopiù singolativo a un presente con forti sfumature iterative. Ridotto a un ceppo inerte, Occhiopin è stato gettato in un terreno abbandonato e lì ha iniziato a ringiovanire, trasformandosi in un grosso albero di cachi, e a parlare. Un gruppo di bambini si raccolgono ogni giorno attorno all’albero per ascoltare la storia di Occhiopin e del Paese dei Bei Occhi, «dove il tempo va in avanti e non indietro». Lo stesso narratore è uno di essi, e al termine della storia, guardando l’orologio, scopre che le sue lancette hanno cominciato a girare in avanti. «Cosa succederà in questa storia?» si chiede infine. La frase, che per la prima volta introduce nel testo una proiezione rivolta al futuro, è stampata al contrario.


Non è difficile scorgere in questo epilogo il riflesso di una strategia compositiva, propria dell’intero libro, fondata sul principio del ribaltamento. A un primo livello la storia è infatti concepita come una rivisitazione alla rovescia delle avventure di Pinocchio, nella quale la caratterizzazione dei personaggi e dei luoghi risulta stravolta rispetto all’originale (il Gatto e la Volpe sono timidi e gentili, la Fata Turchina è crudele, Occhiopin non sa dire bugie, il Paese dei Bei Occhi è uno spazio connotato positivamente, ecc.) e l’ordine cronologico degli episodi invertito (l’iniziale trasformazione di Occhiopin in burattino corrisponde alla finale trasformazione di Pinocchio in bambino, la sua morte alla fine della storia corrisponde alla nascita di Pinocchio all’inizio del romanzo di Collodi, l’episodio della balena precede la trasformazione in asino e la visita del Paese dei Bei Occhi, e così via). A un secondo livello, ad essere capovolto è lo stesso mondo diegetico in cui si svolge la storia, nei riguardi delle leggi fisiche che governano la realtà (la sera precede il mattino, i fiumi scorrono verso la cima delle montagne, le uova entrano nelle galline). La suggestione esercitata dal motivo del ribaltamento si riflette poi in diverse scelte narrative e stilistiche che investono alcuni snodi del racconto e talvolta anche le relative illustrazioni, come ad esempio l’immagine di Occhiopin a testa in giù nel Campo dell’Oro Zecchino.

Sarebbe riduttivo, in ogni caso, pensare al principio del ribaltamento come a un semplice espediente utilizzato da Negrin per confezionare una parodia della storia di Pinocchio. Il rapporto tra il romanzo originale e la sua rivisitazione, in altre parole, non è solo funzionale ma anche sostanziale, e riguarda alcuni aspetti semantici di massima rilevanza che fanno capo alla figura di Pinocchio e al suo universo narrativo.


È noto il legame di stretta parentela che il romanzo collodiano intrattiene con la cultura popolare e le sue tradizioni. Tra i motivi più caratteristici di questo immaginario prodotto “dal basso” rientrano quelli del mondo alla rovescia e del Paese di Cuccagna, fantasie popolari che in tempi antichi hanno ispirato numerose festività e che in epoca più recente, con la loro carica umoristica e parodica, hanno influenzato anche la letteratura per l’infanzia. Nel romanzo di Collodi tale immaginario rivive in una moltitudine di elementi, i più significativi dei quali sono la rappresentazione della città di Acchiappacitrulli e quella del Paese dei Balocchi, e più in generale permea lo spirito del racconto in sé e per sé. La ripresa di tale immaginario eversivo in Occhiopin, di conseguenza, non risulta solo funzionale alla rielaborazione parodica del testo originale, ma partecipa anche con essa di un più profondo vincolo semantico-immaginifico.

La stessa figura di Pinocchio, se comparata alla sua incarnazione alla rovescia, si rivela emblematica di questo vincolo. Nel romanzo di Collodi Pinocchio è un burattino ribelle e disubbidiente che alla fine della storia si trasforma in un bravo bambino, ma a un livello ulteriore rappresenta l’infanzia nella sua irriducibile alterità rispetto al mondo adulto e civilizzato. La figura di Pinocchio è stata poi accostata a livello archetipico a quella del trickster, tipica di molte tradizioni mitologiche e associata allo sconvolgimento dell’ordine costituito; tra i suoi tratti fondamentali, si è detto, rientrano il suo essere perennemente in movimento e un legame ambiguo e fatale con la morte.

Alla luce di quanto osservato sopra è facile rilevare quanto la maggior parte degli aspetti caratteristici della figura di Pinocchio si ritrovino, rivisitati, in Occhiopin. La variazione maggiore, al di là del giudizio esplicito espresso in termini positivi nei confronti dell’istanza eversiva, interessa a livello figurativo e simbolico la sostituzione dell’immagine della vista a quella della corsa, comunque presente. La fuga di Pinocchio-Occhiopin, pare così suggerire il libro, è l’esempio di una ricerca e dell’assunzione di una nuova visione del mondo più che il segno di un’indole ribelle. In modo sottile e illuminante la suggestione sembra confermata dall’illustrazione in copertina, se il ramo biforcuto che copre il volto del bambino-burattino, oltre a fornire un saggio sullo statuto ambiguo della realtà e della sua rappresentazione, ci porta ad associarne l’immagine a quella di un moderno rabdomante.