[La rubrica Altreletture è dedicata alla segnalazione di articoli reperibili in rete.]
Uno degli eventi editoriali più chiacchierati in Italia negli ultimi mesi è stato il trionfale ritorno in libreria del classico di Maurice Sendak Nel paese dei mostri selvaggi (Where the Wild Things Are, 1963), riproposto da Adelphi nella collana “I cavoli a merenda” e nella nuova traduzione di Lisa Topi.
La clamorosa assenza dalle librerie italiane di questo capolavoro, considerato una pietra miliare della letteratura illustrata per ragazzi, era stata segnalata giusto un anno fa, nel marzo del 2017, sul blog Topipittori, dove comparve un articolo rivolto a Roberto Calasso, proprietario e direttore di Adelphi. Come si legge nell’articolo, il libro “è stato portato in Italia nel 1969, dalla Emme Edizioni di Rosellina Archinto […] nella traduzione di Antonio Porta”, e “ripubblicato, sempre con la medesima traduzione, nel 1999 da Babalibri”, salvo poi scomparire dalle librerie e risultare perfino su Amazon come “fuori catalogo”. L’articolo, cercando di fare luce sull’accaduto, ricordava che nel 2012, alla morte di Sendak, “gli eredi hanno rinegoziato i diritti delle sue opere e la gara fra le case editrici italiane è stata vinta da Adelphi […]. Il precedente editore ha avuto tempo fino al 16 luglio 2016 per vendere le copie che aveva in magazzino ma, non potendo più ristampare, il libro si è esaurito già nel giugno di quell’anno”.
Nel gennaio 2018, in coincidenza col ritorno dei mostri selvaggi di Sendak nelle librerie italiane, un articolo di Cristiano de Majo per Rivista Studio ha provato a ricapitolare i motivi per cui Where the Wild Things Are è diventato un libro di culto, arrivando a vendere circa 20 milioni di copie nel mondo e ispirando anche una trasposizione cinematografica diretta da Spike Jonze e scritta da Dave Eggers. “Molta parte della sua bellezza”, osserva de Majo, “sta nei disegni che hanno un tratto originalissimo – qualcuno ha richiamato l’influenza di Chagall – e un tono cupo e stridente molto insolito per un libro per bambini, e non solo per l’epoca della sua uscita, ma ancora oggi. Non tutta la sua forza però è da far risalire alla parte visiva. Nel paese dei mostri selvaggi è anche letteratura. È un racconto enigmatico, che mischia realismo e sogno, riuscendo come poche altre cose a trasmettere il senso dell’infanzia. È una storia che fa delle lacune, e quindi della possibilità di essere interpretato a molti livelli, una forza”.
Maurice Sendak, Nel paese dei mostri selvaggi, Adelphi, 2018. La copertina della nuova edizione Adelphi riprende i caratteri tipografici della prima edizione americana (Harper & Row, 1963). |
Il dibattito sulla nuova edizione Adelphi si è poi concentrato in modo particolare sulla traduzione di Lisa Topi, molto diversa dalla precedente traduzione di Antonio Porta. Un’attenta comparazione delle due versioni è stata fatta da Lorenzo Alunni in un articolo per Il lavoro culturale, che sintetizza in questo modo la loro differenza: “se da una parte la traduzione di Antonio Porta aveva il pregio di offrire ai lettori e lettrici un testo felicemente influenzato dall’attitudine poetica del traduttore, dall’altra quella di Lisa Topi ha il merito di portarci più vicini alla limpidezza della lingua di Sendak”.
In un bell’articolo per Fumettologica, Andrea Fiamma tratteggia la stessa differenza in questi termini: “Per indole, Porta si mangia il testo, vuole farsi più grande delle parole cristalline di Sendak, tradisce spesso, usa un linguaggio alto (forse all’epoca lo era meno) e le occasionali ripetizioni che inserisce tradiscono il desiderio di far diventare la storia una cantilena. […] [Quella di Porta] Non è la traduzione più letterale ma ha un’energia che la nuova traduzione, pur maggiormente fedele, non ha. […] Tuttavia, al netto delle differenze, quella di Topi pare una traduzione in linea con il progetto di un’edizione filologica”.
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Di tutte le varianti, la più discussa è stata senz’altro quella relativa alla celeberrima frase “let the wild rumpus start!”, pronunciata dal piccolo Max di fronte alle creature selvagge dopo essere stato da loro incoronato re. La versione di Porta recitava “attacchiamo la ridda selvaggia!”, mentre quella di Topi “scateniamo il finimondo!”. La sostituzione di un termine prezioso e raro come “ridda” – oltretutto accompagnato da un verbo impiegato in un’accezione secondaria (“attaccare” per “iniziare”) – con un termine di uso più frequente come “finimondo” è stata considerata da un lato funzionale a una più immediata comprensione del testo da parte dei lettori più giovani, ma dall’altro ha lasciato delusi non pochi appassionati, per i quali la versione di Porta era ormai diventata proverbiale. “Se un libro ti fa cercare almeno una parola nel dizionario è generalmente un buon segno”, nota Lorenzo Alunni; “in questo caso però dobbiamo tenere conto che la scelta di Porta, letta oggi, rischia di lasciare perplessi i giovani ascoltatori – e non solo – e di costringere chi gli sta leggendo la storia a voce alta a interrompere la narrazione e a spiegare cosa sia una «ridda»”. La maggiore potenza icastica della frase scelta di Porta – aggiungo – deriva però anche dalla scelta di un verbo come “attaccare”, che richiama all’istante il campo semantico della caccia e una situazione predatoria, e dalla volontà di conservare l’importante attributo “wild”.
Sarebbe comunque un peccato, oltre che un errore, impuntarsi su una singola parola trascurando tutto il resto. “Moltissimi sono i dettagli su cui soffermarsi in questa storia in cui a un protagonista bambino è concesso di essere cattivo senza un perché, nel regno dove non esiste offesa, cioè quello fantastico, ma anche in quello reale, degli esseri umani a lui più prossimi, cioè i familiari” ha scritto Nadia Terranova in un più recente articolo per Gli Asini, dove è fornita una bella interpretazione dell’albo incentrata sui motivi interconnessi dell’amore, della rabbia, della paura e della fame. “We’ll eat you up–we love you so!” gridano i mostri selvaggi a Max pregandolo di non andarsene dalla loro terra, e svelando, come osserva l’articolo, “che dietro la metafora di una pulsione cannibale si cela un profondo desiderio d’amore”. Lo stesso Sendak ricordava con affetto che un suo piccolo lettore aveva fatto propria la profonda verità del libro, poiché apprezzò talmente tanto il disegno di un mostro selvaggio che l’autore gli aveva spedito da arrivare al punto di mangiarselo.
Una volta un bambino mi mandò un meraviglioso biglietto con un piccolo disegno. Mi piacque tantissimo. Rispondo a tutte le lettere dei bambini che mi scrivono, a volte anche frettolosamente, ma in questo caso ci persi un po’ di tempo. Gli mandai un biglietto con il disegno di un mostro selvaggio e gli scrissi: «Caro Jim, il tuo biglietto mi è piaciuto tantissimo». In risposta mi arrivò una lettera di sua mamma che diceva: «A Jim il suo biglietto è piaciuto così tanto che se l’è mangiato». È stato uno dei più grandi complimenti mai ricevuti. Non gli importava che fosse un disegno originale di Maurice Sendak, o cose del genere. L’ha visto, gli è piaciuto, se l’è mangiato».
“L’unico rimpianto” osserva poi giustamente Nadia Terranova “è che Sendak sia ancora così poco presente oggi nelle librerie italiane […] e che si finisca sempre per parlare di Nel paese dei mostri selvaggi, quando ci sarebbero tanti altri libri da tradurre”. Chissà se il successo della nuova edizione spingerà Adelphi a proporre in tempi brevi altri libri di Sendak, magari cominciando dagli altri due volumi dell’ideale trilogia sullo sviluppo psico-emotivo del bambino inaugurata da Where the Wild Things Are e poi proseguita con In the Night Kitchen (1970, già pubblicato in Italia da Emme e Babalibri col titolo Luca la luna e il latte) e Outside Over There (1981), oppure dal libro più caro all’autore, scritto dopo la morte dell’adorata cagnolina Jessie e a lei ispirato, Higglety Pigglety Pop! Or, There Must Be More to Life (1967).
Due spunti per approfondire nel frattempo la vita e l’opera di Sendak sono forniti dai già citati articoli di Lorenzo Alunni e Andrea Fiamma: il primo è un memorabile articolo su Sendak scritto da Nat Hentoff, pubblicato nel 1966 sul New Yorker e ora leggibile per intero online; il secolo è una lunga intervista che Gary Groth fece a Sendak nell’ottobre del 2011, e della quale si trovano in rete due estratti sul sito The Comics Journal (uno e due). Altri due articoli, apparsi invece su questo stesso blog, riguardano da un lato la spinosa questione della censura che subì In the Night Kitchen per aver mostrato un bambino nudo, dall’altro il forte legame affettivo che Sendak ebbe fin dall’infanzia con Mickey Mouse, al quale dedicò bellissime parole che all’epoca cercai di rendere al mio meglio in italiano. Infine, per chi volesse rivedere Sendak e la sua casa, oltre che ascoltare le sue parole, è imprescindibile il documentario di Spike Jonze e Lance Bangs Tell Them Anything You Want: A Portrait of Maurice Sendak (2009), uscito appena tre anni prima della sua morte.
Maurice Sendak |
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Signor Calasso, where are the wild things?
Cristiano de Majo, Perché Nel paese dei mostri selvaggi è diventato un libro di culto
Lorenzo Alunni, Nel paese dei mostri selvaggi: la nuova traduzione
Andrea Fiamma, “Nel paese dei mostri selvaggi”. Torna il capolavoro di Maurice Sendak
Nadia Terranova, Maurice Sendak il ritorno dei mostri
Nat Hentoff, Among the wild things
Gary Groth, Maurice Sendak Interview [estratti]