[L’articolo è stato originariamente pubblicato su Fumettologica il 17/8/2018.]
Gli albori del fumetto pullulano di autentici tesori dimenticati, frutto del talento visionario di singoli autori e di occasioni eccezionali, perlopiù di breve durata, nelle quali il medium ha saputo travalicare i consueti binari espressivi in senso davvero rivoluzionario. Agli occhi dello storico queste occasioni somigliano talvolta a vertiginose scorciatoie spazio-temporali, come i pochi mesi di vita del Naughty Pete (1913) di Charles Forbell, del quale a un secolo di distanza, riconoscendone l’influenza sul proprio lavoro, Chris Ware disse che “giocò coi fumetti più di quanto molti fumettisti fanno in un’intera vita”. Altre volte sono invece sentieri secondari nascosti, eccentrici e irripetibili, come la brevissima serie nonsense esoterica The Wiggle Much (1910) di Herbert E. Crowley, artista britannico dal gusto simbolista tipicamente europeo.
I rapporti tra il “vecchio continente” dell’arte e il “nuovo mondo” delle comic strips furono comunque molto più fitti e fecondi di quanto lascerebbe intuire una conoscenza sommaria dell’argomento, così come l’esame delle sue eccezionali singolarità. Innanzitutto, tra i grandi autori del fumetto statunitense vi furono diversi giovani artisti immigrati che rielaborarono le intuizioni umoristiche di illustratori come Wilhelm Busch, o più in generale suggestioni di matrice europea. In secondo luogo, la carica dirompente del nuovo linguaggio dei comics ebbe un impatto notevole anche oltreoceano, come indica meglio di ogni altra circostanza la grande passione di Pablo Picasso (rievocata da Gertrude Stein nell’Autobiografia di Alice Toklas) per una delle sue serie fondative, i Katzenjammer Kids (1897) di Rudolph Dirks da noi noti come Bibì e Bibò.
Un caso particolarmente istruttivo sulla relazione biunivoca tra la neonata industria culturale statunitense e le avanguardie artistiche europee di inizio Novecento è quello di Lyonel Feininger, esponente dell’espressionismo e del cubismo tedesco che fu anche autore di due serie a fumetti, The Kin-der-Kids e Wee Willie Winkie’s World, pubblicate per poco meno di un anno, dal 1906 al 1907, sul supplemento domenicale di un importante quotidiano statunitense, il Chicago Tribune. Dopo essere state tradotte per la prima volta in Italia da Garzanti nel 1974, in un volume ormai introvabile, le due serie sono state da poco riproposte da Oblomov in un’elegante edizione di grande formato, corredata da un’introduzione di Emilio Tadini e da una postfazione di Art Spiegelman.
Lyonel Feininger nacque nel 1871 a New York da genitori tedeschi, e dopo essere cresciuto negli Stati Uniti si trasferì nel 1887 in Germania, dove nel giro di pochi anni, dopo aver perfezionato i suoi studi tra Berlino e Parigi, cominciò a lavorare come illustratore su diversi periodici umoristici e satirici. Il passaggio da illustratore ad artista tra i più illustri dell’avanguardia europea avvenne nei primi due decenni del Novecento, nei quali Feininger partecipò sia alla Secessione Berlinese, sia al gruppo “Der Blaue Reiter”, sia come maestro alla scuola Bauhaus, assieme a gente del calibro di Paul Klee e Wassily Kandinsky. L’esordio di Feininger come fumettista sulle pagine del Chicago Tribune precedette di qualche anno la sua consacrazione come artista, e rappresenta un capitolo poco conosciuto ma molto rilevante della sua carriera. Nel 1906, un editor del quotidiano, tale James Keeley, assoldò una squadra di artisti tedeschi in vista dell’uscita di un nuovo supplemento a fumetti, concepito come un prodotto di alta qualità lontano da una trivialità farsesca che sempre più spesso incontrava le critiche del pubblico, e realizzato “dagli antichi maestri nell’arte di questo genere di illustrazioni, […] che hanno reso i giornali comici del loro paese i migliori del mondo”. La rosa dei magnifici sei comprendeva come nome di punta quello di Lyonel Feininger, al quale si aggiungevano Hans Horina, Karl Pommerhanz, Lothar Meggendorfer, Karl Staudinger e Victor Schramm.
Lyonel Feininger, The Kin-der-Kids (The Chicago Sunday Tribune, 29/4/1906) |
The Chicago Sunday Tribune, 29/4/1906 (via) |
Il progetto non ebbe il successo sperato, e poiché il Tribune non vide crescere le sue vendite i contributi di questi artisti cessarono dopo circa un anno. A fronte della sua breve durata, del resto, il lavoro di Feininger sulle pagine del supplemento costituì uno dei maggiori esempi della possibilità di reinventare in senso sperimentale il linguaggio dei comics, e nella storia del fumetto è giustamente ricordato come un tentativo pressoché unico nel suo genere. Consapevole di muoversi in un territorio nuovo che gli concedeva una grande libertà espressiva assieme a una tribuna di lettori molto ampia, in una tavola introduttiva del 29 aprile 1906 Feininger presentò sé stesso nei panni di un grande burattinaio che regge i fili dei suoi personaggi, ma che non disdegna di affibbiarsi un nomignolo affettuoso come quello di “zio Feininger” accanto all’altisonante dicitura di “famoso artista tedesco”, mentre un cartellino postale attaccato al suo orecchio funge da ironico segnale della lontana provenienza dei disegni, spediti per l’appunto dall’Europa. Nel fascicolo di presentazione comparve anche una galleria dei Kin-der-Kids e un’introduzione alla serie, incentrata sul viaggio in giro per il mondo di una banda di figure una più bizzarra dell’altra: il bambino prodigio Daniel Webster, il forzuto Strenuous Teddy (una caricatura di Theodor Roosevelt) e il mangione Piemouth compongono il trio principale di kids, cui si affiancano tra gli altri il bassotto parlante Sherlock Bones e lo strano robottino acquatico Japansky.
Nella splendida tavola della settimana successiva la combriccola dei Kin-der-Kids dà quindi inizio alle sue strampalate avventure per mare, salpando trionfalmente dal caotico porto di New York a bordo di una vasca da bagno. La Statua della Libertà, sullo sfondo, non leva in alto una fiaccola né una spada (come sarà in Amerika di Kafka), bensì un fazzoletto per salutare i suoi piccoli eroi, ed è il dettaglio più rilevante di una scena fortemente connotata in senso autobiografico, se l’inaugurazione del monumento, nel 1886, precedette di un solo anno la partenza del giovane Feininger dall’America, e a quegli anni di crescita in terra statunitense si ricollega un intero immaginario tecnologico, composto da navi, treni e macchine volanti, a cui l’artista sarebbe rimasto affezionato per tutta la vita. Salpati da New York come il loro autore vent’anni prima, i piccoli viaggiatori vengono presto chiamati ad affrontare in aperto oceano i più vari imprevisti, tra balene, tempeste e navi nemiche che trasformano il viaggio in una vera e propria odissea umoristica.
Nella splendida tavola della settimana successiva la combriccola dei Kin-der-Kids dà quindi inizio alle sue strampalate avventure per mare, salpando trionfalmente dal caotico porto di New York a bordo di una vasca da bagno. La Statua della Libertà, sullo sfondo, non leva in alto una fiaccola né una spada (come sarà in Amerika di Kafka), bensì un fazzoletto per salutare i suoi piccoli eroi, ed è il dettaglio più rilevante di una scena fortemente connotata in senso autobiografico, se l’inaugurazione del monumento, nel 1886, precedette di un solo anno la partenza del giovane Feininger dall’America, e a quegli anni di crescita in terra statunitense si ricollega un intero immaginario tecnologico, composto da navi, treni e macchine volanti, a cui l’artista sarebbe rimasto affezionato per tutta la vita. Salpati da New York come il loro autore vent’anni prima, i piccoli viaggiatori vengono presto chiamati ad affrontare in aperto oceano i più vari imprevisti, tra balene, tempeste e navi nemiche che trasformano il viaggio in una vera e propria odissea umoristica.
Lyonel Feininger, The Kin-der-Kids (The Chicago Sunday Tribune, 6/5/1906) |
All’anziana zia Jim-Jam è affidato poi il comando di una seconda spedizione alla ricerca dei monelli fuggitivi, che prende il via a bordo di un grande pallone a gas. Armata di una bottiglietta di olio di ricino da somministrare ai nipotini, la sua figura vestita di nero introduce nella storia la classica opposizione tra il mondo adulto dell’autorità e quello infantile dell’irresponsabilità, un motivo profondamente radicato nell’immaginario del fumetto delle origini che nella maggior parte delle serie si tradusse nella messa in scena umoristica di monellerie quasi sempre punite, sul modello dei Katzenjammer Kids, o nella rappresentazione di una sfera immaginaria esclusiva, come quella del sogno infantile nel Little Nemo di McCay. Di fronte a queste due opzioni, l’originalità di Feininger sta nell’aver creato una terza via che ne operasse una sorta di sintesi parodica, ma che al tempo stesso se ne discostasse in maniera radicale, presentandosi come qualcosa di assolutamente inedito.
Se “l’ironia di Feininger è apparentemente meno crudele delle allucinazioni” di Verbeek o McCay, osservò Gino Frezza, è perché “Feininger non oppone direttamente sogno e realtà o una realtà e il suo opposto, bensì introduce in un universo monade, in cui già tutto è ombra o movimento oppure apparizione, sparizione, deformazione di qualcosa che può esserci o non esserci”. Insomma, i kids di Feininger navigano in un universo immaginario, allucinatorio, che è al tempo stesso reale e fantastico, infantile e adulto, meraviglioso e crudele, e il cui statuto ibrido è ottenuto per mezzo di un incessante movimento dello sguardo, che alterna molteplici punti di vista e gioca sulla deformazione degli schemi prospettici. Le due spedizioni, non a caso, avvengono l’una per mare e l’altra per via aerea: ciò che entrambe idealmente rifuggono è il riferimento alla terra, ovvero a un sistema stabile di coordinate spaziali, ed è per questo motivo che le tavole di Feininger appaiono addirittura anomale nella loro audacia compositiva, che siano fondate sull’orizzontalità del viaggio in mare, sulla verticalità del viaggio in cielo o su una trama più complessa di linee diagonali (si osservi ad esempio la tavola del 20/5/1906, dove il continuo saliscendi del livello del mare si accompagna a mutamenti prospettici e di profondità e infine a una serie di linee diagonali suggerite dall’inclinazione della vasca da bagno e dalle sagome delle balene, una delle quali nelle ultime due vignette alterna la propria posizione con quella della vasca, come in un gioco di specchi).
Per descrivere la peculiarità dello stile di Feininger si potrebbe notare quanto le sue raffinate visioni somiglino a miraggi, oppure interpretarle come varianti metaforiche dei motivi del travestimento e del fraintendimento della realtà, tipici delle serie incentrate su monellerie di bambini ai danni di adulti. È anche possibile constatare come le sue tavole rifuggano quasi sempre l’utilizzo di gag slapstick fini a sé stesse, come se all’autore interessasse un tipo di comicità risolto nel tratto grafico, più che nell’azione, e una modalità narrativa capace di conferire un’impressione di continuità a una serie di scenette all’apparenza autoconclusive e per molti versi sconclusionate. Per quanto riguarda più nello specifico il suo stile di disegno, al di là delle influenze che vi si possono rilevare (dal Jugendstil alle stampe giapponesi), la cifra fondamentale della deformazione può essere vista come un risultato consequenziale al lavoro di un caricaturista, laddove però il suo effetto non è riservato alle sole figure umane e agli esseri viventi, ma si estende all’intero dominio della realtà e della sua percezione.
Se “l’ironia di Feininger è apparentemente meno crudele delle allucinazioni” di Verbeek o McCay, osservò Gino Frezza, è perché “Feininger non oppone direttamente sogno e realtà o una realtà e il suo opposto, bensì introduce in un universo monade, in cui già tutto è ombra o movimento oppure apparizione, sparizione, deformazione di qualcosa che può esserci o non esserci”. Insomma, i kids di Feininger navigano in un universo immaginario, allucinatorio, che è al tempo stesso reale e fantastico, infantile e adulto, meraviglioso e crudele, e il cui statuto ibrido è ottenuto per mezzo di un incessante movimento dello sguardo, che alterna molteplici punti di vista e gioca sulla deformazione degli schemi prospettici. Le due spedizioni, non a caso, avvengono l’una per mare e l’altra per via aerea: ciò che entrambe idealmente rifuggono è il riferimento alla terra, ovvero a un sistema stabile di coordinate spaziali, ed è per questo motivo che le tavole di Feininger appaiono addirittura anomale nella loro audacia compositiva, che siano fondate sull’orizzontalità del viaggio in mare, sulla verticalità del viaggio in cielo o su una trama più complessa di linee diagonali (si osservi ad esempio la tavola del 20/5/1906, dove il continuo saliscendi del livello del mare si accompagna a mutamenti prospettici e di profondità e infine a una serie di linee diagonali suggerite dall’inclinazione della vasca da bagno e dalle sagome delle balene, una delle quali nelle ultime due vignette alterna la propria posizione con quella della vasca, come in un gioco di specchi).
Lyonel Feininger, The Kin-der-Kids (The Chicago Sunday Tribune, 20/5/1906) |
Per descrivere la peculiarità dello stile di Feininger si potrebbe notare quanto le sue raffinate visioni somiglino a miraggi, oppure interpretarle come varianti metaforiche dei motivi del travestimento e del fraintendimento della realtà, tipici delle serie incentrate su monellerie di bambini ai danni di adulti. È anche possibile constatare come le sue tavole rifuggano quasi sempre l’utilizzo di gag slapstick fini a sé stesse, come se all’autore interessasse un tipo di comicità risolto nel tratto grafico, più che nell’azione, e una modalità narrativa capace di conferire un’impressione di continuità a una serie di scenette all’apparenza autoconclusive e per molti versi sconclusionate. Per quanto riguarda più nello specifico il suo stile di disegno, al di là delle influenze che vi si possono rilevare (dal Jugendstil alle stampe giapponesi), la cifra fondamentale della deformazione può essere vista come un risultato consequenziale al lavoro di un caricaturista, laddove però il suo effetto non è riservato alle sole figure umane e agli esseri viventi, ma si estende all’intero dominio della realtà e della sua percezione.
Un esempio ancora più lampante di questa poetica della deformazione e della percezione distorta è dato da Wee Willie Winkie’s World, la seconda serie che Feininger realizzò per lo stesso supplemento e che pubblicò dal 19 agosto 1906 al 17 febbraio 1907 (mentre l’ultima tavola dei Kin-der-Kids risale al 18 novembre 1906). Feininger trasse il titolo da una filastrocca scozzese ottocentesca nella quale Wee Willie Winkie è una personificazione del sonno, e da un mondo che in effetti sembra strettamente imparentato con quello infantile e romantico del sogno e delle antiche nursery rhymes fece muovere i suoi primi passi l’omonimo protagonista della sua serie, un bambino intento alla scoperta di tutto ciò che lo circonda, a partire dalla campagna in cui si trova la casa del nonno. Al viaggio collettivo e frenetico dei Kin-der-kids si sostituisce qui un percorso di scoperta silenzioso, privato e solitario, in un mondo in cui sono quasi del tutto assenti le figure umane e dove una potente carica animistica permea ogni cosa, trasformandola in uno specchio cangiante delle emozioni e del mondo interiore del bambino.
Lyonel Feininger, Willie Winkie’s World (The Chicago Sunday Tribune, 30/9/1906) |
Al posto dei balloon, che nella prima serie erano forse l’elemento meno caratterizzante nella composizione delle tavole, Feininger scelse di utilizzare in Wee Willie Winkie’s World le più classiche didascalie narrative, in modo da permettere allo sguardo di posarsi con maggiore libertà sulle numerose visioni surreali: la casa del nonno che sbadiglia e poi fa la linguaccia, la “zia Nuvola” che innaffia di pioggia la campagna, il sorriso di una pozzanghera nel momento in cui un sassolino viene lanciato nell’acqua, il passaggio improvviso di un treno, o quello lento di una barca a vela che dietro di sé sembra annegare il sole al tramonto… In modo ancora più evidente rispetto alla prima serie, la composizione delle tavole dà luogo a raffinate architetture visive ornate di cornici, sfondi e decorazioni, a rimarcare la soglia di un mondo sospeso che pare invitare il lettore ad avvicinarsi in punta di piedi. A distanza di più di un secolo il genio di Feininger non ha cessato di sedurre e stupire, ed è impossibile non convenire con Art Spiegelman sul fatto che “le più belle di queste tavole sono capolavori inequivocabili, capaci di dimostrare le possibilità visive più sublimi della forma fumettistica”.
Note
La citazione di Gino Frezza si legge in Gino Frezza, Fumetti, anime del visibile, Roma, Meltemi, 1999, p. 37, che ripropone con leggere variazioni testi apparsi su Gino Frezza, L’immagine innocente. Cinema e fumetto americani delle origini, Roma, Napoleone, 1978. La citazione di Art Spiegelman è tratta dalla postfazione a Lyonel Feininger, Kin-der-Kids, Quartu Sant’Elena (CA), Oblomov, 2018.