[L’articolo è stato originariamente pubblicato su Fumettologica l’11/12/2018.]
A poche ore dalla diffusione del primo trailer di Knights of the Zodiac: Saint Seiya, la serie in computer grafica targata Netflix tratta dallo storico manga di Masami Kurumada, i commenti dei fan si sono inevitabilmente polarizzati attorno alla controversa scelta di trasformare Shun (Andromeda, nell’edizione italiana) in Shaun, ovvero in un personaggio di sesso femminile.
Chiunque abbia una minima conoscenza della saga in questione sa che Andromeda non è solo uno dei personaggi principali e più iconici, ma anche una figura che spicca per singolarità di carattere e aspetto. Innanzitutto, nonostante si tratti di uno dei cavalieri più forti, Andromeda è un ragazzo pacifico e gentile che non ama combattere se non in casi eccezionali, e che quando sconfigge i suoi avversari preferisce risparmiare loro la morte. In secondo luogo, il suo viso aggraziato, i capelli lunghi e l’armatura rosa lo rendono una figura maschile ulteriormente atipica, perché connotata da elementi estetici generalmente associati alla sfera del femminile.
Se da un lato tutto ciò ha contribuito a farne nell’immaginario infantile e adolescenziale un facile capro espiatorio, per cui in qualsiasi gruppo di ragazzini la parte di Andromeda spettava al più debole, dall’altro è innegabile che il personaggio sia sempre stato e sia tutt’ora uno dei più amati dal pubblico giapponese, come testimoniano i risultati di numerosi sondaggi effettuati nel corso degli anni e lo status di icona che Andromeda ha assunto nell’immaginario yaoi.
Il cambiamento sarebbe stato dettato dalla necessità di includere un personaggio femminile all’interno del gruppo di protagonisti, come ha spiegato uno degli autori di questo remake, Eugene Son, sul proprio profilo Twitter (poi rimosso): «Quando abbiamo iniziato a sviluppare la nuova serie volevamo cambiare ben poco. L’unica cosa che mi preoccupava era il fatto che i Cavalieri di Bronzo erano tutti ragazzi. […] Trent’anni fa un gruppo di ragazzi che combattevano per salvare il mondo senza ragazze attorno a loro non era un grande problema, anzi era la norma. Ma oggi il mondo è cambiato, e la norma sono ragazzi e ragazze che lavorano fianco a fianco. Siamo abituati a questo».
Son ha elencato poi le varie possibilità discusse dagli autori: dapprima è stata scartata l’idea di trasformare un personaggio femminile della saga in un Cavaliere di Bronzo, e in seguito quella di crearne uno ex novo. «A quel punto abbiamo pensato ad Andromeda. Eravamo tutti d’accordo che fosse un personaggio fantastico. E allora [ci siamo detti:] perché non far sì che l’originale sia Andromeda Shun e la nostra interpretazione Andromeda Shaun? Più sviluppavamo l’idea, più vedevamo il suo potenziale.»
L’autore ha voluto sottolineare che a suo parere non si tratta di un cambiamento vero e proprio, ma di una nuova interpretazione rispettosa delle caratteristiche essenziali del personaggio. Più della catena, delle sue tecniche di lotta e della sua armatura rosa, Son forse dimentica che proprio il fatto di essere un cavaliere distante dai comuni stereotipi virili lo ha reso una figura speciale all’interno della saga, o magari pensa davvero che la nuova interpretazione sia legittima, perché relativa a un personaggio già caratterizzato per molti aspetti da una femminilità tutt’altro che implicita?
La storia di questo curioso “procedimento interpretativo” non è comunque nuova, e tra le sue vittime conta anche un personaggio creato dalla penna di Osamu Tezuka, ovvero del mangaka che prima di ogni altro, in La principessa Zaffiro (1953-6) e poi in molte opere successive, ha messo in scena figure che sfidano apertamente le convenzionali rappresentazioni di genere.
In una delle più note saghe animate di Astro Boy, “Il più grande robot del mondo”, il robot Epsilon è presentato come l’affettuoso educatore di una scuola materna in Australia, sempre circondato da bambini e riluttante a usare la sua immensa energia fotonica per uccidere altri robot: quanto di più distante, insomma, da ciò che comunemente associamo alla figura di un eroe chiamato a salvare il mondo. Nella serie manga originale (1964-1965), così come nella riduzione animata del 1980 e nell’adattamento che dalla saga ha tratto Naoki Urasawa col manga Pluto (2003), la peculiarità del personaggio spicca inoltre non solo per via del suo carattere gentile e pacifico, ma anche perché molti indizi lasciano supporre che si tratti del robot più temibile in assoluto, la cui forza è inferiore solo alla sua bontà.
Quattro versioni di Epsilon. Da sinistra a destra: il manga originale, la trasposizione animata del 1980, il manga Pluto di Naoki Urasawa (2003) e la serie animata del 2003. |
Ebbene, nella più recente serie animata di Astro Boy (2003) Epsilon è diventato un personaggio secondario e di sesso femminile, che alla cura dei bambini, in quanto ecologista, ha sostituito quella della natura, e che oltretutto, a differenza degli altri rivali di Pluto, si vede risparmiare da quest’ultimo il colpo letale. Difficile immaginare un cambiamento peggiore, soprattutto per chi ricorda che nel culmine della battaglia decisiva l’Epsilon originale decideva di sacrificarsi per proteggere un bambino, consapevole di andare incontro in questo modo a una morte certa.
Il confronto tra questa versione animata e il manga di Urasawa fornisce un buon esempio di due opposte strategie di reinterpretazione dello stesso personaggio, ma anche della possibilità di conservare un buon grado di fedeltà all’originale senza per questo rinunciare a introdurre delle varianti innovative (in Pluto, ad esempio, l’aspetto di molti robot, a cominciare da Epsilon, è decisamente più umano). Volendo azzardare un paragone con la reinterpretazione di Andromeda, c’è il forte timore che il risultato si rivelerà simile a quello non dell’eccellente manga di Urasawa ma della mediocre serie animata. Rimane allora da chiedersi: fino a che punto la scelta è stata dettata da buone intenzioni e non piuttosto da superficialità?
È nota l’attenzione che Netflix riserva al tema della diversità in molte sue declinazioni, e che spesso spinge i produttori ad adottare scelte impopolari per i fan. Un caso analogo al gender-swap di Andromeda è rappresentato ad esempio dai recenti race-swap annunciati per il remake di The Witcher, e subito accolti da non poche polemiche. In molti casi, l’impressione è che tali decisioni vengano prese nella sincera convinzione che sia giusto garantire la presenza sullo schermo del rappresentante di una determinata categoria, trascurando però che la complessa alchimia di una serie non può prescindere da considerazioni ben più articolate, specie in un caso delicato come quello del remake di una storica saga.
La diversità è poi un concetto sfuggente, che non può essere valutato in sé e per sé ma deve essere colto all’interno di un contesto, come ad esempio in rapporto alle convenzioni di un determinato periodo. Un film che vuole rappresentare molte minoranze può finire per ottenere l’effetto contrario, rappresentando una grande collettività omologata e indistinta. Allo stesso tempo, un film che sceglie di includere tra i suoi personaggi principali una donna, rischia di renderla solo una caricatura virile dei suoi compagni.
Nel caso specifico di Andromeda, volendo porre sulla bilancia da una parte il modello originale e dall’altra la sua reinterpretazione femminile, risulta già da ora evidente come una figura anomala e affascinante in quanto tale sia stata sostituita da un personaggio privato di gran parte del suo fascino originario. Sorge spontaneo il dubbio che la scelta abbia permesso agli autori di prendere due piccioni con una fava: non solo l’inserimento politically correct di una donna nel cast di cavalieri, ma anche la fuoriuscita del protagonista più atipico, e dunque passibile di controversie.
Una frase di Eugene Son, in particolare, lascia intuire i pericoli di un’adesione ingenua e acritica a un programma di questo genere, nel momento in cui, dopo aver affermato che «oggi il mondo è cambiato, e la norma sono ragazzi e ragazze che lavorano fianco a fianco», esprime la seguente preoccupazione: «E che sia giusto o sbagliato, il pubblico potrebbe interpretare un team composto da soli uomini come un’affermazione di qualcosa da parte nostra».
Ciò che in un primo momento sembrava una scelta a favore della parità di trattamento dei generi, insomma, si rivela essere anche e soprattutto una scelta di adeguamento alla norma e all’abitudine, sulla base del timore che tutto ciò che vi si discosti possa essere letto come una sorta di messaggio cifrato. Nel mondo sempre più asfittico del politically correct, del resto, ogni scelta rappresentativa deve implicare una presa di posizione nei confronti di qualcosa, ed è assolutamente preferibile che il messaggio sia chiaro, condivisibile e impossibile da equivocare. In un mondo del genere personaggi come Andromeda ed Epsilon sono da tutelare come una specie in via di estinzione, perché la loro irriducibile ambiguità – che è propria dell’arte, ma prima ancora della vita – sopravviva anche all’ennesima interpretazione, e oltre.