20/08/22

[Soffitte] 50 Watts. Tigri e libri “in the Land of Dreams”


[La rubrica Soffitte è dedicata principalmente alla scoperta di archivi digitali disponibili in rete.]

Quando nell’autunno 2019 ho pubblicato un articolo su Tiger Tateishi (1941-1998), dedicato in particolare a una scoperta fatta l’estate prima alla International Library of Children’s Literature di Tokyo, ovvero il suo albo illustrato Tora no yume (“Il sogno della tigre”, 1984), inedito al di fuori del Giappone, poche informazioni erano reperibili online sull’autore, soprattutto in lingue che non fossero il giapponese, e nessuna su quel libro per bambini che mi aveva tanto incuriosito per il suo fascino misterioso. Il desiderio di condividere la gioia della scoperta di un libro tanto affascinante quanto sconosciuto, una gioia infantile che credo alla base di molte mie ricerche, è stato una delle ragioni principali che mi hanno spinto a scrivere quell’articolo. A distanza di tre anni, ora, questa gioia si rinnova in modo inatteso, perché una neonata casa editrice statunitense, 50 Watts Books, ha scelto di inaugurare il suo catalogo proprio con la prima traduzione mondiale di Tora no yume, ribattezzato in inglese A Tiger in the Land of Dreams. Una casa editrice neonata, ma che trae origine da un progetto online che ha alle spalle una lunga storia di scoperte e condivisioni, e che per gli amanti dei libri e dell’illustrazione non è esagerato definire una pietra miliare del web.

Se non ricordo male, ho cominciato a frequentare il blog “A Journey Round my Skull” (che sarebbe poi diventato “50 Watts”) non molto tempo dopo la sua nascita, avvenuta nell’agosto 2007. Erano anni molto fiorenti per la cosiddetta blogosfera, successivamente destinata a soccombere al predominio dei social network, e anni in cui alcune piattaforme iniziarono a sperimentare interessanti modalità di condivisione di immagini e brevi testi (citazioni, estratti, ecc.), utilissime per diffondere un gran numero di contenuti artistici lontani dal mainstream. Dati i molti anni trascorsi potrei sbagliarmi, ma credo sia stata un’illustrazione condivisa su una di queste piattaforme, Tumblr, a indirizzarmi per la prima volta sul blog “A Journey Round my Skull”, che da quel momento è diventato una presenza costante nelle mie navigazioni online.

Il blog “A Journey Round my Skull” nel 2010.

“Writers No One Reads”, un progetto parallelo su Tumblr.

“A Journey Round my Skull” nacque dalla passione di un bibliofilo, anzi bibliomane, e dal desiderio di condividere i tesori della sua collezione personale. Il suo fondatore, Will Schofield di Philadelphia (classe 1977), disse che all’inizio voleva essenzialmente parlare di libri e tenere un registro delle sue abitudini di lettura, ma che nel corso nei mesi, poi, il blog si è lentamente trasformato in un blog “visivo”. Il tentativo di combinare questi due aspetti ha portato nel marzo 2011 alla prima evoluzione del blog, rinominato “50 Watts” e trasformato in un grande portale-archivio molto funzionale e curato sul piano grafico, non più ospitato su Blogger ma sviluppato sulla piattaforma Cargo.

“50 Watts”

«50 Watts è un sito web tentacolare che esplora arte, illustrazioni, design grafico e libri insoliti da tutto il mondo» spiega Schofield, e aggiunge che il suo periodo di massima attività è stato dal 2011 al 2015, mentre in seguito le sue energie si sarebbero concentrate sui relativi account social (Instagram e Facebook). Un’ulteriore evoluzione del progetto si è avuta nel marzo 2021 con la creazione di 50 Watts Books, libreria online dedicata soprattutto a libri insoliti e graficamente sorprendenti, stampati nei più vari Paesi del mondo. L’ultimo tassello di questa storia (almeno per il momento) è la fondazione della casa editrice omonima, che tra l’estate e l’autunno del 2022 esordisce coi suoi primi due titoli: Animal Land Where There Are No People di Sybil e Katharine Corbet (un bizzarro albo scozzese pubblicato nel 1897, scritto da una bambina di quattro anni e illustrato da sua madre), e il già menzionato A Tiger in the Land of Dreams di Tiger Tateishi.

I primi due titoli pubblicati dalla casa editrice 50 Watts Books.

Ho voluto raccontare in breve la storia di questo progetto davvero unico nel suo genere, nato come blog amatoriale, divenuto un archivio sterminato, una libreria online e infine una casa editrice, sia perché credo rappresenti un ottimo esempio delle potenzialità del web come strumento di diffusione della conoscenza e dell’arte, così spesso disattese e disincentivate da piattaforme che premiano invece modalità comunicative molto meno costruttive, sia perché la scelta del libro di Tiger Tateishi, intrecciandosi con le ricerche che dal 2014 sto raccogliendo su questo blog, mi dà l’occasione per sviluppare un piccolo omaggio personale, legato ad alcuni autori e libri che ho scoperto e amato proprio grazie al lavoro di Will Schofield.

Potrei citarne molti, ma vorrei evitare un’overdose di nomi. Se dovessi scegliere tra gli illustratori a me più cari, nominerei senz’altro due artisti giapponesi: Taniuchi Rokurō (1921-1981), a cui nel centenario della nascita ho dedicato un articolo, e Takei Takeo (1894-1983), illustratore dal magnifico stile affilato e fiabesco che ritrovo oggi nei manga della coppia fratello/sorella Nishioka Kyōdai, tra le mie letture contemporanee preferite in assoluto. Sempre a proposito di illustrazioni e di fiabe, potrei citare l’artista boemo Artuš Scheiner (1863-1938), in cima alla lista delle mie ricerche tra librerie antiquarie durante un viaggio a Praga nell’autunno dello scorso anno, coronate dal ritrovamento del volume The Disobedient Kids and Other Czecho-Slovak Fairy Tales (1921) di Božena Němcová, illustrato per l’appunto da Scheiner.

Takei Takeo e Taniuchi Rokurō

Tre libri per bambini pubblicati in Cecoslovacchia nei primi decenni del secolo scorso, tra cui (a destra) una edizione del classico Broučci (1876) di Jan Karafiát.

Credo però che la cosa migliore sia partire dal libro che ha battezzato il blog, e vedere dove mi porta la penna, anzi la tastiera. A Journey Round my Skull, in italiano Viaggio intorno al mio cranio, è un lungo testo dello scrittore ungherese Frigyes Karinthy (1887-1938), a metà tra memoir autobiografico e speculazione scientifico-filosofica, esemplare della predilezione di Schofield per titoli anomali, inclassificabili e di grande qualità letteraria. Una buona introduzione a questo libro – a cui mi è capitato di ripensare di recente, dopo aver visto Memoria di Apichatpong Weerasethakul – è la sinossi presente sulla quarta di copertina dell’edizione BUR (2010), che contiene una postfazione di Oliver Sacks e anche il racconto Catene (1929), in cui l’autore ungherese delinea per la prima volta la celeberrima teoria dei sei gradi di separazione:
Il fragore assordante di un treno di passaggio sorprende Frigyes Karinthy mentre, seduto al suo tavolo preferito in un elegante caffè di Budapest, è assorto nei propri pensieri. Ma non ci sono stazioni e non passano treni, nel centro della città. Il boato è in realtà una potente allucinazione. Dopo aver consultato specialisti di ogni tipo, lo scrittore scopre di avere un tumore al cervello e che un intervento chirurgico è la sua unica possibilità di sopravvivenza. È il 1936 e la neurochirurgia è in una fase pionieristica, ma di forte sviluppo. Karinthy va a Stoccolma e si affida alle mani di Olivecrona, allievo del grande Harvey Cushing. Il suo racconto dell’operazione, subita da sveglio, è – oltre che la prima testimonianza storica di questo tipo – un autentico capolavoro letterario: Karinthy flirta divertito con il presentimento della morte e trasforma il proprio viaggio negli abissi della malattia in una brillante esplorazione della natura umana.

Viaggio intorno al mio cranio: la prima edizione ungherese (1937) e l’edizione italiana BUR.

Come spesso accade con scoperte di questo genere, buona parte del divertimento consiste anche nel fatto che una ricerca tira l’altra, e può dare il via ai più vari ritrovamenti e alle più varie connessioni. Nel caso di Frigyes Karinthy, che fu uno degli scrittori ungheresi più celebri del secolo scorso, ma che in Italia non è altrettanto noto, dando una scorsa alla sua bibliografia spicca una coppia di testi di letteratura fantastica, ancora inediti in italiano, pubblicati in inglese in un singolo volume di poco più di cento pagine: Voyage to Faremido (1916) e Capillaria (1921). Si tratta di due originali rivisitazioni futuristiche dei viaggi di Gulliver, che peraltro trattano temi quanto mai attuali. Così recita la quarta di copertina dell’edizione inglese New English Library (1978), che specifica che i due testi sono stati selezionati da due noti scrittori di fantascienza (Brian Aldiss e Harry Harrison):
Prima c’è Faremido – un pianeta popolato di macchine che considerano la vita organica una malattia. Gulliver è processato come il rappresentante della malattia più corrotta dell’universo – l’umanità. Poi c’è Capillaria – un mondo sottomarino dove gli uomini sono cibi prelibati e le donne comandano come dei. Gulliver è misteriosamente tratto in salvo dall’annegamento, ma la sua tregua dura poco, perché la sua temuta identità sessuale viene presto scoperta.

Una dettagliatissima descrizione del mondo narrato in Capillaria si trova sul Dizionario dei luoghi fantastici di Alberto Manguel e Giani Guadalupi, imprescindibile volume di consultazione per qualsiasi bibliofilo e appassionato di letteratura fantastica. Ne cito solo alcuni passaggi, per dare un’idea più chiara dell’estro davvero singolare di Karinthy:
Gli abitanti sono una razza di donne belle e maestose, tutte alte più di sei piedi […] chiamate Oiha. […] La mitologia locale vuole che le Oiha discendano dalla prima Oiha, una creatura simile a loro, in grado di autofecondarsi e autogenerarsi. L’Oiha originaria espulse infine dal proprio corpo lo scomodo e brutto organo che aveva svolto la funzione della fecondazione all’interno di essa. Da allora l’organo ha continuato a esistere come un parassita, vivendo con l’eterno ma vano desiderio di riunirsi al corpo che l’aveva buttato fuori. Il sesso maschile è quindi considerato una creatura primitiva, espulsa dal corpo femminile. Questo parassita esterno è il bullpop, una piccola creatura lunga da nove a dieci pollici, con il corpo cilindrico, la faccia umana e una testa pelata. […] Tutti i bullpop […] costruiscono immense torri circolari, che si innalzano a spirale dal fondo dell’oceano […]. I bullpop non soltanto forniscono alle Oiha le torri e i palazzi, ma anche gli abiti. […] La lingua delle Oiha non appartiene ad alcun gruppo linguistico conosciuto […] consiste interamente in interiezioni ed esclamazioni. […] La guerra fra torri non è cosa rara. […] Durante gli stadi iniziali della guerra sorse un conflitto fra gli alleati di una delle torri, quando un gruppo sostenne che era nell’interesse della società dei bullpop che la prima persona singolare fosse cancellata dalla lingua, e che fosse sostituita dalla prima persona plurale […]. I visitatori di Capillaria si procurino al più presto le branchie artificiali inventate dai bullpop, che permetteranno loro di respirare sott’acqua. I maschi faranno bene a non rivelare il proprio sesso, perché si renderebbero passibili di punizione e si troverebbero a dover scegliere tra essere mangiati dalle Oiha o essere sottoposti ai lavori forzati come bullpop.


L’enfasi sulla dimensione linguistica e lo spaesamento del viaggiatore malcapitato sono elementi interessanti, perché ricorrono anche in uno splendido romanzo del figlio di Frigyes, Ferenc Karinthy (1921-1992), intitolato Epepe (1970) e pubblicato in Italia da Adelphi. Epepe è la storia di Budai, un linguista specializzato in ricerche etimologiche, che dopo un viaggio in aereo atterra in una metropoli immensa e labirintica di cui ignora il nome, la posizione geografica e la lingua parlata, abitata da una folla oceanica di persone con cui sembra impossibile riuscire a comunicare in qualsiasi maniera.

«Metropole [titolo inglese del romanzo] è il fantastico per gli adulti» scrive Georges-Olivier Châteaureynaud in un breve saggio tradotto e ospitato su “50 Watts”, The Fantastic for Grown-Ups. «In esso, la paura nasce dalle cose a noi più familiari: le parole. Riconoscerle rende intelligibile la realtà, nell’indispensabile distribuzione di significati. Metropole è il romanzo linguistico del quale la nostra era di pidginizzazione ha bisogno. […] Metropole condivide con i capolavori la loro semplicità e ovvietà, il loro carattere di necessità inesplicabile e oggettiva. Con il tempo, prenderà il suo posto nella biblioteca del Novecento, sullo stesso scaffale del Processo e di 1984».

Infine, una piccola curiosità: Epepe non è solo il nome della ragazza che il protagonista incontra nel corso del romanzo, l’unica persona con cui riuscirà a stabilire una comunicazione, ma compare anche nel titolo del primo capitolo del Codex Seraphinianus, scritto nell’incomprensibile alfabeto inventato dall’autore, Luigi Serafini. Una semplice coincidenza? Ma ogni bibliofilo sa che coincidenze di questo genere esistono, e non sono per niente prive di significato, come gli intrecci del destino che spesso nascono da un archivio online, o dalle pagine di un blog.