Agronomo, poeta, insegnante, lettore del Sūtra del Loto e divulgatore della dottrina buddhista, studioso di esperanto, appassionato di astronomia, mineralogia, musica classica, e soprattutto autore dalla sensibilità più unica che rara, in grado di armonizzare questa molteplicità di anime e interessi nei suoi racconti per bambini (dōwa), Kenji è noto in Italia specialmente grazie alla raccolta Una notte sul treno della Via Lattea e altri racconti (Marsilio 1994), curata da Giorgio Amitrano in anni in cui l’opera dello scrittore conosceva in Giappone una nuova ondata di popolarità, sulla scia delle celebrazioni per il centenario della sua nascita. A questo libro, e agli altri due volumi che negli anni successivi hanno ampliato il ventaglio di suoi testi disponibili in traduzione italiana – Il violoncellista Gōshu e altri scritti, a cura di Muramatsu Mariko (La Vita Felice 1996) e Le stelle gemelle e altri racconti (Atmosphere 2018) – si aggiunge ora una quarta raccolta a cura di Alberto Zanonato, Matasaburō del vento e altri racconti (Marsilio 2022): occasione preziosa per approfondire o inaugurare la conoscenza di storie che a ragione sono considerate dei classici della letteratura giapponese per bambini e ragazzi, e anche a distanza di un secolo dalla loro composizione continuano a sorprendere e commuovere lettori di qualsiasi età.
«Ho ricevuto tutti i miei racconti dall’arcobaleno o dalla luce della luna, in un bosco, in un prato o sulle rotaie della ferrovia […] o trovandomi tremante tra i monti spazzati dal vento di novembre», scrisse Kenji nella breve premessa all’unica raccolta di prose che pubblicò in vita, Chūmon no ōi ryōriten (“Un ristorante pieno di richieste”, 1924), condensando una presentazione della propria poetica in poche immagini evocative, semplici ma tutt’altro che banali nel loro accostamento. Kenji parla anzitutto della sua ispirazione come di un dono naturale che non gli appartiene, avulso da una specifica tradizione, frutto di una libertà creativa che anche altri autori dell’epoca – come Ogawa Mimei (1882-1961) e Niimi Nankichi (1913-1943) – ritenevano essenziale per l’elaborazione di una moderna letteratura per l’infanzia, non più incentrata esclusivamente sulla riscrittura didascalica di antiche storie e capace di entrare in sintonia con la vita quotidiana e il mondo interiore di ciascun bambino.
Esaminando poi la sequenza di immagini scelte dall’autore per questa sintetica premessa, citata da Zanonato nella densissima introduzione che apre il volume, è interessante individuare i diversi aspetti della sua poetica che vi traspaiono, facilmente riconoscibili per chiunque abbia una minima dimestichezza con l’opera di Kenji: l’illuminazione lirica e visionaria che caratterizza il suo sguardo (cui alludono la luce della luna e i colori dell’arcobaleno); la spiccata sensibilità ecologica (il bosco e il prato) che trova spesso espressione in raffigurazioni animistiche dei fenomeni naturali (i monti spazzati dal vento); il radicamento in un mondo di ritmi, stagioni e festività tipicamente agricolo (il riferimento al mese di novembre); un sincero interesse per il progresso e le innovazioni tecniche, che in vari racconti diventano oggetto di trasfigurazioni e metamorfosi fantastiche (le rotaie della ferrovia e il treno, non a caso, sono in assoluto tra i simboli più significativi di un’opera che guarda anche alla modernità attraverso il prisma della mitologia e del pensiero spirituale).
La copertina di Chūmon no ōi ryōriten (“Un ristorante pieno di richieste”, 1924), da cui sono tratti cinque dei nove racconti scelti da Zanonato. |
Ho lasciato per ultima la parola tremante, perché credo costituisca la migliore chiave di lettura per inoltrarsi in questa raccolta e apprezzarne la singolarità, anche rispetto alle altre antologie di Kenji già disponibili per i lettori italiani. Se da un lato, infatti, la selezione di Zanonato completa il quadro dei racconti presenti nell’unica raccolta pubblicata in vita dall’autore, traducendo i cinque che ancora erano inediti in Italia, accomunati dall’impronta fiabesca e onirica tipica di molte sue storie (La foresta dei lupi e la foresta dei colini di bambù, la foresta dei ladri; Il quarto giorno del mese dei narcisi; L’aprile dello yamaotoko; La notte del querceto; I pali del telegrafo in una notte di luna), dall’altro propone una stimolante apertura, un confronto con alcuni aspetti meno noti ed espliciti della sua ricerca letteraria, che emergono in modo particolare nei due stranianti racconti iniziali (la novella Matasaburō del vento e la favola Il fuoco della conchiglia) e nelle due storie conclusive, pervase di visioni spirituali e riferimenti all’iconografia buddhista (La rete di Indra e I piedi nudi di luce).
Tremanti, paralizzati dallo stupore e sull’orlo delle lacrime sono i due bambini che all’inizio del racconto che dà il titolo al libro, alla ripresa delle lezioni scolastiche in un piccolo villaggio di montagna, scorgono nell’aula ancora vuota della scuola elementare un alunno che non si era mai visto prima, dai capelli rossi e l’aspetto vagamente sinistro. Il misterioso studente attira presto la curiosità e le dicerie di altri alunni più grandi, e quando il maestro lo presenta come Takada Saburō, trasferitosi dall’Hokkaidō per via di un incarico aziendale del padre, diversi bambini si convincono che il loro nuovo compagno sia un’incarnazione di Matasaburō, divinità del vento nota al folklore locale, come del resto paiono indicare le improvvise folate che si levano in corrispondenza di molte sue azioni.
Composto di sette capitoli, scanditi come sulle pagine di un diario fra i primi dodici giorni di settembre, Matasaburō del vento è la storia di un’estraneità che in breve tempo si converte in amicizia, fiducia e complicità, senza però perdere il carattere fatale proprio di certi incontri infantili, destinati a imprimere nella memoria le orme di una pienezza numinosa e di un vuoto incolmabile. Colta dapprima sui banchi di scuola, in alcune scenette che il contesto pluriclasse rende ancor più vivaci nella loro freschezza naturalistica, e poi in prospettiva sempre più ampia nei campi e nei boschi del villaggio, tra cavalli al pascolo, scorpacciate di uva e bagni al fiume, questa storia corale di iniziazione al mistero della vita pone Saburō al centro di una vicenda che coinvolge bambini e ragazzi nelle contraddizioni della crescita, lasciandoli infine sospesi tra una sensazione di abbandono e l’impressione di avere in pochi giorni attraversato in modo irrevocabile la soglia di una nuova consapevolezza.
Un’edizione giapponese di Matasaburō del vento. |
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