«Paragonato al nostro, il vocabolario del Parlanuovo era a dir poco esile e si escogitavano di continuo nuovi modi per ridurlo ancora. Il Parlanuovo si distingueva dalle altre lingue proprio perché, di anno in anno, il suo vocabolario si rimpiccioliva anziché ingrandirsi. Ogni riduzione rappresentava un progresso, perché più angusto era lo spazio della scelta, minore era la tentazione di riflettere.»
«La definitiva soppressione del Parlantico avrebbe reciso l’ultimo legame con il passato. La storia era già stata riscritta, ma sopravvivevano frammenti sparsi e mal censurati della letteratura passata, e fintanto che si conservò una conoscenza del Parlantico fu possibile leggerli. Nel futuro, simili frammenti, sempre che fossero sopravvissuti ancora, sarebbero diventati incomprensibili e intraducibili.»
«Molta letteratura del passato, in effetti, veniva già trasformata in questi termini. Il prestigio di certe personalità storiche consigliava di preservarne la memoria, ma anche di ricondurne il lascito nell’alveo del SOCING e della sua filosofia. Diversi scrittori, come Shakespeare, Milton, Swift, Byron, Dickens e altri ancora erano quindi in corso di traduzione: a missione ultimata, i testi originali e quant’altro ancora sopravviveva della letteratura passata sarebbero andati distrutti. Queste traduzioni erano lavori lenti e difficoltosi, e ci si aspettava che fossero portati a termine soltanto dopo il primo o il secondo decennio del ventunesimo secolo. Vi era poi una grande quantità di testi pratici, manuali tecnici indispensabili e così via, che andavano trattati alla stessa maniera. Fu soprattutto per dare tempo all’opera preliminare dei traduttori che si decise di fissare l’adozione definitiva del Parlanuovo soltanto a partire dal 2050.»
George Orwell, Millenovecentottantaquattro (Nineteen Eighty-Four, 1949), a cura di Tommaso Pincio, Sellerio 2021, pp. 419-438.
«Prima o poi l’inventiva umana arriverà a scrivere libri con un sistema meccanico. Ma una sorta di meccanizzazione può essere già vista all’opera nel cinema e nella radio, nella pubblicità, nella propaganda e nel giornalismo di basso livello. […] Ancor più simile a una macchina è la produzione di racconti, romanzi a puntate e poesie per le riviste popolari. Giornali come il “Writer” abbondano di pubblicità di scuole per scrittori, ognuna delle quali offre per pochi scellini delle trame già pronte. Alcune, insieme alla trama, forniscono le frasi di apertura e chiusura di ogni capitolo. Altre offrono una sorta di formula algebrica grazie alla quale poter costruire una trama. Altre ancora regalano mazzi di carte raffiguranti personaggi e situazioni, che devono solo essere mischiate e distribuite allo scopo di produrre automaticamente delle storie ingegnose. Probabilmente è in questo modo che si produrrebbe letteratura in una società totalitaria – sempre che la letteratura sia ancora ritenuta necessaria. L’immaginazione – anche la consapevolezza, per quanto possibile – sarebbe eliminata dal processo creativo della scrittura. I libri sarebbero progettati a grandi linee dai burocrati e passerebbero attraverso così tante mani che, una volta finiti, non sarebbero il prodotto di un individuo più di quanto non lo sia una Ford al termine della catena di montaggio. Inutile dire che qualsiasi opera prodotta in tal modo sarebbe nient’altro che spazzatura; ma del resto, tutto ciò che non fosse spazzatura potrebbe mettere in pericolo la struttura dello Stato. Per quanto riguarda la letteratura sopravvissuta del passato, dovrebbe essere soppressa, o almeno minuziosamente riscritta.»
George Orwell, “La prevenzione della letteratura” (The Prevention of Literature, 1946), in Il potere e la parola. Scritti su propaganda, politica e censura, Piano B 2021, pp. 150-151.