14/04/23
Sulle rotte dei sogni
Uno dei sogni a cui sono più affezionato, per me molto significativo nella sua semplicità, risale a qualche anno fa:
Alcuni ex alunni di quinta, ormai iscritti alle medie, sono tornati a scuola per salutarmi. Uno di loro, Christian, prima di congedarsi mi regala un disegno. È una mappa del cortile della scuola molto particolare, perché invece dello spazio rappresenta il tempo, e tutti i suoi elementi sono ricordi che ci riguardano.
A distanza di anni mi sorprende scorgere in questo sogno l’intuizione di un percorso che avrei affrontato in seguito, in un’altra scuola e con altri alunni. Riflettendo ora sul senso di questa intuizione, direi che la mappa del tempo è una mappa che consente a ogni ricordo di farsi immagine del futuro, mettendo in relazione dimensioni solitamente contrapposte. È una mappa che crea continuità fra tempi differenti, e soprattutto nasce come un dono.
A questa mappa fantastica mi ha fatto ripensare un nostro lavoro dell’anno scorso, una grande mappa dei giardini che abbiamo visitato nelle diverse stagioni, imparando a chiamare gli alberi per nome e a osservare la vita della natura nel tempo. E a un’altra mappa degli stessi giardini, stampata con una griglia di coordinate tipo “battaglia navale”, hanno ripensato diversi alunni vedendo la copertina della prima lettura di quest’anno, l’albo illustrato Robinson di Peter Sís. È anche grazie a questo libro se il nostro percorso sul tema del viaggio, così importante per una quinta in chiusura di ciclo, si è presto avviato sulle rotte dei sogni.
Più che in altri libri che abbiamo letto insieme, in Robinson sono state soprattutto le immagini a interrogarci, e spesso si è trattato di dettagli poco appariscenti ma densi di significato. Al risveglio dall’avventura sull’isola, Peter trova nella sua camera gli amici-pirati che a scuola l’avevano preso in giro per lo strambo travestimento da Robinson Crusoe, venuti a chiedergli scusa e a consegnargli (o a condividere?) il premio per il miglior costume. Peter scopre che tutti quanti si sono vestiti come lui, ma il lettore attento nota anche che un’amica ha in mano un bigliettino con su scritto “sorry”, mentre un compagno ha ancora in testa la bandana da pirata. Questo dettaglio non è sfuggito agli alunni: se i bambini possono sfoggiare travestimenti ibridi da pirati-eroi, è perché si servono del linguaggio del gioco e del sogno (penso in particolare al meccanismo che Freud chiamò condensazione) come fattore risolutivo di un conflitto identitario. Senza il litigio, forse non avrebbero riflettuto sulla possibilità di essere ciascuno sia pirata che eroe, o in altre parole sulla moltitudine che abita ogni persona, e così la loro amicizia sarebbe rimasta qualcosa di simile a una mascherata tribale. Senza la sua avventura solitaria, forse Peter non avrebbe scoperto l’autonomia dell’eroe, né il piacere di costruire un rifugio e condividere una cena in compagnia di animali amici.
Leggiamo il libro un po’ alla volta, prendendoci tutto il tempo necessario anche per osservare meglio o confrontare alcune figure (notando ad esempio come la foresta assuma via via un aspetto sempre meno minaccioso, o come le orme che Peter trova sulla spiaggia puntino verso di lui e verso sinistra, invitandolo metaforicamente a ritornare sui suoi passi). Un’immagine su cui torniamo più volte precede l’avventura vera e propria. Al confine tra veglia e sogno, mentre il colore sempre più scuro del mare evoca una crescente profondità, tre piccole sagome veleggiano verso l’isola: il letto del bambino si trasforma gradualmente in una nave, e la figura intermedia di questa metamorfosi, come il disegno in copertina, mostra un’imbarcazione con vele a forma di libro. Il racconto-libro rappresenta qui l’elemento di iniziazione al sogno, ma anche un’occasione di raccordo fra l’esperienza quotidiana e la sua rielaborazione, specialmente nel confronto con aspetti destabilizzanti come la vergogna, il senso di isolamento e la paura degli altri intesi come nemici.
La stessa storia narrata, scopriamo alla fine, è ispirata a un ricordo d’infanzia dell’autore, una disavventura scolastica che leggiamo con grande partecipazione. A chiunque è capitato di sentirsi inadeguato, o di voler fuggire su un’isola deserta per difendersi dalle prese in giro dei compagni, ma disporre delle parole per raccontarlo è un balsamo che aiuta a chiarire i pensieri, governare le emozioni e ritrovare la fiducia. Ci colpisce in particolare l’idea di una solitudine che rafforza, stimolando una conoscenza più profonda di sé stessi, e infine prepara a un nuovo incontro: «Qualunque cosa sia successa in quei solitari giorni di naufragio mi rese più forte. Nella solitudine diventai il padrone della mia isola. Ricominciai a credere in me stesso. Quando i miei amici vennero a trovarmi ero in grado di perdonare, dimenticare e andare avanti. Tutti volevano sentire le storie di Robinson Crusoe, e forse leggemmo persino il libro insieme».
Dopo questo omaggio al capolavoro di Daniel Defoe, l’occasione è propizia per un viaggio poetico in compagnia di un altro nume tutelare della letteratura per ragazzi, Robert Louis Stevenson, che alcuni di noi conoscono già come autore di L’isola del tesoro e Lo strano caso del dottor Jekill e mister Hyde. Il nostro viaggio ricomincia nella cameretta del piccolo Robert con la poesia My Bed is a Boat, e ancora una volta attinge alle sorgenti della memoria autobiografica e della fantasia onirica, che nei versi del poeta distillano un ricchissimo condensato di sensazioni infantili. Nella notte, l’intimità del letto-nave e il piacere dell’avventura si mescolano all’angoscia della solitudine e al timore dell’ignoto. Proviamo a immaginarci nei panni del piccolo capitano che salpa nel cuore della notte, sperimentando la contraddizione che ogni bambino vive fra il desiderio e la paura di crescere. Davanti, l’oceano sconfinato si distende invisibile nel buio. Dietro, le ultime luci della città si fanno via via più lontane.
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