Il 4 aprile scorso è stato l’ultimo giorno di vita di un albero secolare della mia città, il platano di piazza Buozzi (Milano), abbattuto la mattina seguente. Quel giorno, prima di andare a salutare l’albero nel tardo pomeriggio, ho sentito il bisogno di scrivere un piccolo racconto.
Una malattia invisibile
Sui canali social l’assessore ha lanciato la settimana del verde, la Green Week, congratulandosi da solo per i suoi progetti innovativi.
Nella piazza, intanto, alcune persone si sono radunate attorno a un grande albero antico. Si dice che stia morendo, eppure sui suoi rami sono comparsi degli splendidi germogli.
Una coppia di anziani sospira: nemmeno gli anni delle loro vite messi assieme raggiungono quelli dell’albero, che ha attraversato due guerre e conosciuto tre secoli diversi.
È un albero vecchio e malato, dice un signore. Lo scrive anche il giornale, non c’è più tempo per rimandare l’abbattimento.
Sono arrivate le squadre dei tecnici per le ultime misurazioni. Hanno avvolto il tronco dell’albero con delle corde bianche, e sui loro computer controllano i risultati degli esami.
Si chiamano arboricoltori, spiega una maestra a un bambino. Sono i giardinieri degli alberi.
Che strano, pensa il bambino. È un albero gigante, ma quegli uomini non sembrano nemmeno accorgersi della sua bellezza, indaffarati come sono a leggere numeri sulle loro calcolatrici. E a scuola non ha mai sentito parlare di giardinieri che invece di prendersi cura di una pianta la uccidono.
Il bambino sta pensando al nonno in ospedale. Anche se l’albero è malato, sussurra, meriterebbe di vivere fino alla fine. È un’ingiustizia tagliarlo all’improvviso, per di più in una bella giornata di primavera.
Ma è pericoloso tenerlo così, osserva la maestra. Potrebbe cadere e far male a qualcuno.
Il bambino è incredulo. Non possiamo spostarci? Non si può costruire una recinzione per lasciarlo tranquillo? Ricorda che ai giardini vicini a scuola, durante una gita, ha visto un vecchio albero con le stampelle. Sa anche che nei boschi gli alberi si sostengono a vicenda con le loro radici, che sottoterra possono allungarsi anche per chilometri, ed è triste perché molti alberi soli e maltrattati dagli uomini, in città, crescono per forza deboli e si ammalano facilmente.
Ripensa a quando tutte le scuole erano chiuse per l’emergenza, e poi agli esami che hanno trovato una brutta malattia nei polmoni del nonno.
È una malattia invisibile di cui un bambino non può dire niente, ma qualcuno ha provato a capire davvero cos’è?
La squadra ha presentato un documento con una lista di numeri e sigle. Si tratta di una squadra di esperti: ci si dovrebbe fidare a occhi chiusi delle loro misurazioni. Ripetono che non c’è tempo da perdere. Chiamano al telefono l’assessore, mettono al sicuro gli strumenti e poi il loro furgone bianco si perde nel traffico delle macchine che corrono via dalla piazza.
Il bambino prova a immaginare il volto dell’ultimo giardiniere. Vorrebbe accarezzare l’albero, perché ha paura che il rumore della sega elettrica coprirà il suo pianto, e allora nessuno si accorgerà di quanto ha sofferto.
La piazza si è svuotata, ma lassù fra i rami c’è un nido. Il bambino cerca gli uccelli in volo nel cielo, e per un momento sogna di volare lontano, verso una città più saggia, dal respiro più profondo e dal cuore molto più grande.
Temo che in molte città italiane si stia accentuando questa tendenza all’abbattimento di alberi storici, secolari o addirittura monumentali. A Milano, oltre al caso del platano di piazza Buozzi, ho raccolto in pochi giorni notizie di altre iniziative simili, alle quali i cittadini più sensibili e volonterosi cercano di opporsi con appelli e petizioni. Una secolare quercia madre, da cui ha avuto origine una foresta urbana, è stata abbattuta per consentire la costruzione di nuovi insediamenti universitari, e altri alberi importanti, tra cui quattro tigli pluridecennali e uno storico glicine, saranno probabilmente sacrificati per far posto a un museo. In una scuola elementare è stato deciso l’abbattimento di tutti gli alberi del cortile, per non ostacolare i lavori di ristrutturazione. I bambini hanno salutato gli alberi con abbracci e disegni, e all’ultimo momento il municipio ha disposto un nuovo sopralluogo; ma se il copione sarà lo stesso già visto in piazza Buozzi, si tratterà solo di posticipare di qualche giorno o settimana il loro abbattimento.
Ho stampato alcuni articoli di giornale e ne parlo in classe coi miei alunni di quinta, che sottolineano subito l’assurdità di quest’ultima situazione: per rinnovare la scuola si decide di eliminare ciò che c’è di più bello, e lo si fa senza nemmeno interpellare i bambini, che quel luogo lo abitano ogni giorno. La mattina del 5 aprile, mentre in piazza Buozzi si procede all’abbattimento del platano secolare, parliamo così di questa preoccupante tendenza che si sta diffondendo nella nostra città, e poi leggiamo la storia che il giorno prima ho sentito il bisogno di scrivere, forse proprio per poterla leggere e discutere assieme. Ancora prima che inizi la lettura ricevo già l’ennesima conferma del fatto che i miei alunni possiedono antenne sensibilissime. «Ma l’hai scritta tu?» chiede una voce dalla prima fila. Faccio finta di non aver sentito, perché voglio che la risposta arrivi da alcuni indizi come l’albero con le stampelle (che abbiamo visto l’anno scorso «ai giardini vicini a scuola, durante una gita») o i tecnici con le calcolatrici (ispirati ad alcune descrizioni di adulti che «non s’interessano più che di cifre», e così perdono di vista il mondo, trovate nel Piccolo principe).
E a proposito di questa combinazione con l’opera di Antoine de Saint-Exupéry, sono contento che la lettura sia arrivata, come spesso accade, al momento giusto. Qualche settimana fa, il capitolo XV ci ha permesso con le figure del geografo e dell’esploratore di imbastire una nuova introduzione alla geografia per accogliere il nuovo compagno proveniente dalla Somalia (e la gentilezza di due collezionisti ci ha consentito di donargli una stampa del libro in somalo, oltre alle edizioni in lingua italiana e inglese). Oggi, invece, la storia di una malattia che sembra coinvolgere in modo misterioso l’albero e la vita del nonno, e forse quella di tutti i cittadini, ci introduce alla lettura dei capitoli XX e XXI, i capitoli del roseto e della volpe, che parlano di cose invisibili ma essenziali, e piuttosto facili da dimenticare.
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