15/02/24

Hannah Arendt. La custodia della novità


«In fondo noi educhiamo sempre i nostri figli in vista di un mondo che è già, o sta per diventare, fuori sesto. È la condizione umana: il mondo è creato da mani mortali che lo destinano a esser dimora di mortali per un tempo limitato. Il mondo si logora perché è opera di mortali; e rischia di diventare mortale come loro, perché i suoi abitanti si avvicendano senza sosta. Per proteggere il mondo dalla natura mortale di chi lo crea e lo abita, occorre rimetterlo in sesto sempre daccapo. Il problema è educare in modo che il “rimetterlo in sesto” resti di fatto possibile, seppure non possa mai essere garantito.

Le nostre speranze sono riposte sempre nella novità di cui ogni generazione è apportatrice; ma proprio perché possiamo fondarle solo su questa, se cercassimo di dominare la novità in modo da esser noi vecchi a dettarne le condizioni, distruggeremmo tutto. L’educazione deve essere conservatrice proprio per amore di quanto c’è di nuovo e rivoluzionario in ogni bambino: deve custodire la novità e introdurla come cosa nuova in un mondo vecchio, che per quanto possa comportarsi come rivoluzionario, di fronte alla generazione che sopraggiunge è sempre sorpassato e prossimo alla distruzione.»

[…]

«L’ambito dell’educazione dev’essere nettamente distinto dagli altri (soprattutto dal settore della vita pubblica e politica) perché soltanto a quello si possa applicare un concetto di autorità e tenere una posizione verso il passato che, mentre si addicono a quell’ambito, non hanno validità generale nel mondo degli adulti e non devono rivendicarla.

Come prima conseguenza pratica, si renderebbe chiaro che la scuola ha la funzione d’insegnare ai giovani com’è fatto il mondo, non di iniziarli all’arte di vivere. Ricordiamoci che il mondo è sempre più vecchio di loro: è inevitabile che l’apprendimento si volga al passato, per quanto l’esistenza scorra nel presente. In secondo luogo, tracciare una linea di demarcazione tra bambini e adulti dovrebbe significare che come non si possono educare gli adulti, così non si possono trattare da adulti i bambini; ma non si dovrebbe mai lasciare che la linea diventi un muro, che si arrivi a estromettere i bambini dalla comunità degli adulti, quasi non vivessero, gli uni e gli altri, nello stesso mondo, e quasi l’infanzia fosse una condizione autonoma dell’uomo, retta da leggi proprie.»

[…]

«Ciò che invece interessa tutti noi e non va quindi delegato alla scienza specialistica, è il rapporto fra adulti e bambini in genere. Si tratta (in termini più generali e più correnti) della nostra posizione nei confronti della nascita degli uomini: del fatto fondamentale che tutti noi siamo stati “messi al mondo” e che le nuove nascite rinnovano di continuo il mondo stesso. L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balìa di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti.»

[Hannah Arendt, “La crisi dell’istruzione”, in Id., Tra passato e futuro (1961), Garzanti 2017, pp. 250-255.]



[immagine: ritaglio di un fotogramma tratto dal film Il cielo sopra Berlino (1987), di Wim Wenders]