31/08/24
La luce segreta. Appunti su Monster (L’innocenza)
È uscito da pochi giorni nelle sale italiane l’ultimo film di Koreeda Hirokazu, Monster, ribattezzato L’innocenza, che era stato presentato lo scorso anno al festival di Cannes, dove aveva vinto il premio per la migliore sceneggiatura (scritta da Sakamoto Yuji). Dopo due film realizzati all’estero (Le verità in Francia e Broker - Le buone stelle in Corea del Sud), Monster segna il ritorno di Koreeda al Giappone e ad alcuni dei temi chiave della sua poetica, come l’infanzia e la famiglia, e lo fa proponendo un’interessante riflessione, che coinvolge anche il mondo della scuola, sulla “mostruosità” di ciò che appare diverso e spesso è soltanto il riflesso di uno sguardo parziale, condizionato da paure o pregiudizi su ciò che non si comprende. Monster è anche l’ultimo film a cui ha lavorato Ryuichi Sakamoto (1952-2023), autore di una memorabile colonna sonora, col quale da molti anni Koreeda sognava di collaborare.
«Circa quindici anni fa ho contattato Ryuichi Sakamoto per lavorare insieme a un film» ha raccontato il regista. «Quel film alla fine è saltato, ma gli ho detto che un giorno avrei voluto lavorare con lui, e finalmente con Monster è arrivata l’occasione. L’ho capito quando ho visto il lago nella città in cui abbiamo girato. Sono salito sulla collina di notte. Era buio e guardavo giù verso la città. E c’era questo lago nero circondato dalle luci della città. È stata una strana sensazione. Mi sembrava di guardare un buco nero nel cielo. Ho iniziato a pensare alla musica per pianoforte di Sakamoto. Ho capito istintivamente che il film sarebbe iniziato così, con questo buco nero e la sua musica. Non riuscivo a immaginarlo con nessun’altra musica.»
Ho raccolto in questo articolo alcuni appunti e curiosità utili per approfondire la conoscenza di un’opera che ritengo fra le più affascinanti ed enigmatiche dell’intera filmografia di Koreeda, capace di rivelare a ogni visione nuovi dettagli, corrispondenze e interrogativi significativi. Data la presenza di numerosi spoiler, raccomando la lettura di questo articolo solo a chi ha già visto il film.
1. Un paragone fuorviante che è stato spesso proposto per presentare Monster riguarda il noto “effetto Rashomon”, ovvero l’espediente utilizzato nell’omonimo film di Kurosawa Akira per mettere in scena diverse versioni della stessa vicenda, basate sulle testimonianze di altrettanti narratori inaffidabili, interpellati per risolvere un caso di omicidio. A prima vista, i tre capitoli di Monster sembrano in effetti raccontare tre versioni differenti della medesima storia: dapprima la versione della madre, preoccupata che gli strani comportamenti del figlio Minato siano causati da presunte violenze del maestro di scuola, poi la versione dell’insegnante, che al contrario sospetta il ragazzo di bullismo, infine quella dello stesso Minato e del suo compagno di classe Yori. A differenza di Rashomon, tuttavia, solo in modo improprio possiamo chiamare “versioni” questi tre capitoli. Essi non sono infatti contraddittori rispetto ai fatti che descrivono, e nel mostrare i molteplici aspetti di una realtà influenzata da opinioni, equivoci, reticenze non ricorrono a menzogne contrapposte, ma a frammenti di verità che a poco a poco si integrano e chiariscono a vicenda.
2. Numerosi sono i film in cui Koreeda ha messo in scena verità delicate, spesso legate all’infanzia, ma due in particolare mi sembrano anticipare l’ispirazione poetica e prospettica del terzo capitolo di Monster, che rivela la verità più intima della storia, la sua luce segreta. A proposito di Nobody Knows (Nessuno lo sa, 2004), Koreeda disse di aver voluto discostarsi dai toni da cronaca nera con cui i media avevano descritto la storia di alcuni bambini abbandonati per mesi dalla madre in un appartamento. «Non aveva senso raccontare di un inferno visto dall’esterno, ma sarebbe valsa la pena concentrarsi sugli sforzi che quei bambini avevano compiuto […]. Anche quell’esperienza rientrava nel tipo di ricchezza interiore che mi interessava» (Pensieri dal set, Cue 2022). Nelle sue parole, aderire al punto di vista dei suoi piccoli protagonisti significava «raccontare come quei bambini avevano guardato il cielo dal loro appartamento», un desiderio che risuona anche in ciò che scrisse per Shoplifters (Un affare di famiglia, 2018): «Volevo che la famiglia desse l’impressione di vivere in fondo al mare e di guardare la vita lassù, verso la superficie» (Quand je tourne mes films, Atelier akatombo 2019). Rispetto a questa ispirazione “sottomarina”, che possiamo rintracciare anche in Monster, Koreeda ricorda il commovente incontro con una bambina che in una casa-famiglia, di ritorno da scuola, si è messa a leggere ad alta voce Guizzino di Leo Lionni: lo stesso libro che Shota legge in una scena di Shoplifters.
3. Anche in Monster la ricerca di verità interiori, nascoste, sprofondate, insegue luoghi isolati, rifugi dai quali attingere sguardi più ampi e sinceri sul mondo. Questa dialettica fra chiusura e apertura attraversa l’intero film, e nel primo capitolo caratterizza in particolare il rapporto fra Minato e sua madre. Il ragazzo manifesta a più riprese un forte impulso all’evasione, che culmina quando si getta dall’auto in corsa e poi fugge da casa, ma soffre anche perché nell’ambiente domestico fatica a trovare spazio per coltivare un dialogo col padre scomparso, e in generale col proprio mondo interiore. La madre non riesce a schiudere il guscio di silenzio del ragazzo, perché il suo approccio viene percepito come troppo invadente. All’inizio del film la madre lo trattiene perché ha paura che si sporga troppo dal balcone, un’ansia che anticipa la scena in cui per un attimo, a scuola, teme si sia gettato dalla finestra. In un’altra scena iniziale lei gli dice di camminare per strada sulla linea bianca, e Minato, mentre le risponde che non è più un bambino, salta come per afferrare qualcosa: lo stesso gesto che verrà immortalato negli ultimi fotogrammi del film.
4. Il maestro di Minato sale sul tetto della scuola, in quello che sembra a tutti gli effetti un tentativo di suicidio, mentre lo spettatore è spinto a provare la stessa angoscia che la madre prova nei confronti di suo figlio. Questo e altri parallelismi sembrano legare Minato e il maestro, anch’egli vissuto con una madre single e a suo dire iperprotettiva. Nella stessa scena, ad esempio, il dettaglio della singola scarpa che indossa il maestro riprende un’inquadratura precedente, che mostrava la scarpa spaiata di Minato accanto alle due scarpe della madre. Anche l’idea del maestro di leggere alla classe un tema scritto quand’era bambino può far pensare a una corrispondenza di questo genere, perché nel film viene citato un tema scritto da Minato in seconda elementare, nel quale il bambino aveva dichiarato che il suo sogno da grande era diventare una madre single.
5. Il confronto coi modelli genitoriali dà luogo per i due ragazzi a esiti opposti e complementari: per Minato è centrale il legame affettivo con la madre, che tende a imitare, mentre Yori rifiuta il modello del padre violento, al quale sembra non assomigliare in nulla. A livello psicologico possiamo scorgere in Minato un guscio di silenzio e violenza trattenuta a fatica che protegge un nucleo di dolcezza e affetto difficilmente esprimibile. In Yori, al contrario, un guscio di dolcezza e serena imperturbabilità sembra proteggere un nucleo di rabbia repressa e violenza calcolata. Inquietanti ma ambigui sono i riferimenti alla presunta piromania e a “giochi” con un gatto che potrebbe essere stato vittima di crudeltà, mentre all’episodio della vasca in cui Yori si immerge, probabilmente per annegarsi, si potrebbe accostare il sospetto di atti di autolesionismo. Anche le case dei due ragazzi sono molto diverse, non solo perché riflettono la differenza di estrazione sociale: quella di Minato è piuttosto piccola, disordinata e sovraffollata (un altro aspetto di somiglianza col maestro); quella di Yori è invece ampia, ordinata e asettica. In una scena in cui la madre di Minato entra a casa di Yori, l’orologio segna le ore 4:44, un ulteriore dettaglio inquietante perché in Giappone il numero quattro è associato alla morte.
6. Minato si taglia i capelli dopo che Yori glieli ha accarezzati, un gesto che nella scena successiva compare sulla copertina del manga che sta leggendo una loro compagna di classe, molto attenta e perspicace – come dimostrano altre scene – rispetto alla speciale amicizia nata fra i due ragazzi. Di primo acchito il gesto di Minato sembrerebbe dettato dall’insofferenza e dal rifiuto per l’affetto di Yori. A uno sguardo più attento, tuttavia, è possibile notare che il nuovo taglio di capelli di Minato è identico a quello di Yori, quindi il gesto potrebbe rappresentare l’affinità che il ragazzo sente nei confronti dell’amico.
7. Koreeda ha dichiarato che la prima cosa a cui ha pensato leggendo la storia dell’amicizia fra Minato e Yori è stato il racconto Una notte sul treno della Via Lattea (1934) di Miyazawa Kenji, storia di due bambini che compiono un viaggio fantastico attraverso la galassia, alla fine del quale uno dei due, risvegliandosi dal sogno, scopre che l’amico è morto annegato la sera stessa, e ha dunque la sensazione di averlo accompagnato in un’altra dimensione. Koreeda ha chiesto ai suoi due attori di leggere il racconto, in modo da potersi immedesimare più a fondo nei sentimenti dei due ragazzi, e ha inoltre disseminato il film di indizi che richiamano il suo immaginario (dal vagone del treno pieno di stelle e pianeti, che vediamo già in forma di modellino di cartone sulla scrivania di Minato, all’immersione di Yori nella vasca, passando per i molti riferimenti alla musica e per i discorsi cosmologici sulla rinascita). Il cognome di Yori, Hoshikawa, significa “fiume di stelle”, ovvero Via Lattea. Anche l’osservazione che la preside rivolge a Minato, sul fatto che la felicità non può essere davvero tale se non è per tutti, è una citazione da un testo poetico-programmatico di Miyazawa Kenji, Lineamenti generali dell’arte contadina (1926), oltre che un insegnamento rintracciabile in Una notte sul treno della Via Lattea.
8. La preside è con ogni probabilità il personaggio più misterioso dell’intero film. La vediamo dapprima incarnare il lato più disumano di una scuola-azienda ossessionata dalle procedure, dall’apparenza e dalla burocrazia, poi apprendiamo che è forse responsabile della morte della nipotina, un tragico evento rispetto al quale sembra non manifestare alcuna emozione, infine la scopriamo protagonista di due scene brevi ma molto importanti, che la mettono in relazione coi due ragazzi. La notte dell’incendio consegna a Yori l’accendifiamma che gli è caduto senza dirgli nulla, un gesto che può essere letto come un tacito segnale di comprensione per la sua rabbia e i suoi desideri di vendetta. A scuola, invece, mostra a Minato come suonare degli strumenti a fiato per esprimere tutto ciò che fatica a comunicare a parole, e dunque liberarsi di un peso. In entrambi i casi, è lei a dare ai ragazzi la chiave per esprimere ciò che in termini psicologici possiamo identificare come l’ombra della loro personalità, con la quale tutti gli altri adulti sembrano incapaci di sintonizzarsi.
9. Yori conduce Minato in campagna, dove lo sfida a superare l’oscurità di un tunnel e gli mostra un vagone abbandonato sulle rotaie. Il vuoto del vagone ricorda quello della casa di Yori, ovvero del suo mondo interiore privo di affetti. Grazie alla compagnia di Minato, questo vuoto viene a poco a poco riempito di figure e decorazioni (stelle, pianeti, animali…), che rappresentano anche la possibilità di esprimere le proprie emozioni all’interno di un ambiente accogliente. Il gioco di carte da indovinare, in particolare, permette ai due ragazzi di rielaborare in forma ludica diversi aspetti del sé, sperimentando la propria identità come una continua metamorfosi. I due ragazzi esplorano anche i dintorni e si spingono fino alla fine dei binari, dove un cancello impedisce loro di proseguire oltre. Nell’ultima inquadratura del film, dopo il rito di passaggio rappresentato dalla “sepoltura” durante la tempesta, li vediamo riemergere al sole e correre ancora verso i binari, mentre notiamo che davanti a loro il cancello è scomparso.
10. Koreeda ha sottolineato l’importanza simbolica che gli elementi naturali rivestono nel film, osservando che la storia «comincia col fuoco e finisce con l’acqua». Se il fuoco è associabile alla violenza distruttiva interiorizzata da Yori, l’acqua richiama l’opera di purificazione e rigenerazione di cui si fa promotore Minato dal momento in cui si innamora di lui e Yori lo invita ad approfondire i loro sentimenti. Sia il fuoco che l’acqua, inoltre, trovano un corrispettivo simbolico nei genitori dei ragazzi: il fuoco-alcol del padre di Yori e l’acqua-lavanderia della madre di Minato (un’altra lavanderia, dopo quelle di Shoplifters e Broker!). Aqua è anche il titolo della composizione per pianoforte che accompagna la conclusione del film, un pezzo che Koreeda aveva incluso nella sua top10 dei brani di Ryuichi Sakamoto. Questo il suo commento: «Ho scelto questa versione tra le tante che esistono. Scusate se la racconto parlando di me stesso, ma durante il funerale di mio padre, al tramonto, un gruppo di persone che tornavano da una festa locale è passato davanti al tempio in cui ci trovavamo. Erano un gruppo di adulti e bambini che forse avevano trainato un carro alla festa. Sembravano euforici e pieni di eccitazione nel parcheggio del tempio. Ricordo questa scena quando ascolto questo pezzo. Come posso spiegarla? È come un’immagine in cui la fine e l’inizio convivono fianco a fianco, o un’immagine che contiene sia la morte che la rinascita.»